venerdì 19 aprile 2024

E la festa continua (Guédiguian 2023)

Amore, politica, filosofia, passione, identità e Jean Luc Godard.
Così si potrebbe riassumere l'ultimo intenso, poetico ed eccezionale film di Robert Guédiguian, che a settant'anni ci racconta ancora la sua Marsiglia, andando a recuperare le sue origini armene, lui figlio di padre armeno e di madre tedesca. Stavolta, però, non c'entrano i lavoratori del porto, quanto la recente storia della città più grande della Francia meridionale e il crollo di due palazzi nel 2018, tra rue d'Aubagne e rue Jean Roque, nel primo arrondissement, che causò la morte di otto persone. Il film è dedicato alla comunità di quel quartiere, che ha deciso di dare un nome a quel luogo e di chiamarlo Place du 5 novèmbre 2018 (trailer).
Questa vicenda reale fa da sfondo, laddove il crollo è anche metafora del "venir meno del rapporto della società con la storia e la politica" (leggi), e della necessità di ricominciare. A pensarci bene, anche nel suo film più noto, Marius et Jeannette (1997), c'era una distruzione, lì rappresentata dalla demolizione di un cementificio marsigliese.
In questo contesto il regista francese ci racconta la storia particolare di una famiglia armena che vive in quel quartiere, costituita da Rosa (Ariane Ascaride, attrice feticcio e moglie di Guédiguian), vedova, infermiera, impegnata socialmente e politicamente al punto da essere candidata per le elezioni comunali, e dai suoi due figli maschi: Minas (Grégoire Leprince-Ringuet), che ha una compagna (Pauline Caupenne) e lavora come medico nell'accoglienza degli immigrati, e Sarkis (Robinson Stévenin), che gestisce un bar e che ha un temperamento molto più giocoso, si è appena innamorato di Alice (Lola Naymark) e vuole presentarla a tutta la famiglia. È un entusiasta, vuole tutti a pranzo per l'occasione e chiede alla madre il piatto forte della casa, la pasta con acciughe e noci. Peccato, però, che Alice sia allergica proprio alle acciughe, un dettaglio che suona come una prefigurazione: l'amore non è la semplice risposta a desideri prestabiliti e il sentiero si fa camminando, come dovrà imparare Sarkis.
Al pranzo c'è anche lo zio Antonio (Gérard Meylan), il fratello di Rosa, un inossidabile scapolo che si presenta con Laetitia (Alice Da Luz), una bella e giovane coinquilina con cui, giura, non ha alcuna relazione. Antonio è un personaggio cinematografico in piena regola e non si separa mai dal suo cappello a falde, un attributo irrinunciabile, come lo era per Charlot, tanto è vero che in una sequenza in cui viene svegliato in piena notte, prima ancora di capire chi abbia di fronte, prende il cappello sul comodino e lo indossa. Naturalmente, però, data la formazione di Guédiguian, si pensa soprattutto a Michel Piccoli, che ne Il disprezzo (Godard 1963) non si separa mai dal suo cappello, nemmeno a letto. E che Antonio si sia addormentato mentre leggeva, e che quel libro che vediamo sul suo petto sia intitolato Crèves ("stanchi"), la dice lunga sulla sua figura da commedia.
In questo quadro familiare variegato, a tratti buffo, ma sempre pieno di vita, non solo si inserisce Alice, ma anche suo padre, Henri (Jean-Pierre Darroussin), dolce, un po' tenebroso, instancabile lettore - durante il film lo vediamo alle prese con Lector in fabula di Umberto Eco (1979) e con La via. Per l'avvenire dell'umanità di Edgar Morin (2011) -, che si innamora, ricambiato, di Rosa... la famiglia si allarga e le storie d'amore trovano sempre una via, anche se questa è impervia e inaspettata.
Per quanto molti personaggi siano ben delineati e approfonditi, Rosa è l'indubbia protagonista della pellicola. È una donna incapace di dire di no alle esigenze altrui, per questo vorrebbe due vite, per poterne dedicare una a se stessa e una agli altri, pur consapevole che con se stessi la strada sia più difficile ("non ho mai creduto agli incoraggiamenti che ho dato agli altri").
In politica, la sua ostinazione la spinge a sperare di allontanare gli ecologisti dal capitalismo, puntando a una larga intesa a sinistra ("non vinci se fai tutto per perdere"), a differenza del fratello, sempre più solo tra i comunisti vecchio stampo e orgoglioso delle sconfitte che gli permettono di lamentarsi del presente. Comunque sia, la solidarietà è un ideale che non appartiene solo alla loro famiglia, ma a tutta la comunità di quell'area di Marsiglia, che si riconosce dietro al motto "agisci nel tuo quartiere, pensa con il mondo".
Rosa a volte sogna il padre, che ricorda con affetto e con nostalgia, mentre la porta, bambina, sulla sua moto. Ma poi lo vediamo anche noi entrare nella camera della figlia, mentre lei dorme abbracciata ad Henri. I risvegli di Rosa dopo queste "apparizioni" sono solari e sorridenti, in pieno accordo con il suo carattere. Quell'uomo ha scelto i nomi dei figli sulla base di una forte ideologia di sinistra.
Rosa riflette davanti al porto di Marsiglia
Rosa deve il suo nome all'ammirazione del padre per la socialista e rivoluzionaria Rosa Luxemburg e il suo temperamento le vale, da parte del pur innamorato Henri, l'aggettivo di "pasionaria". Non a caso per delineare meglio la sua personalità, la scenografia prevede un paio di immagini identitarie per una donna come lei: la foto di Mohammed Alì sul ring e quella di una cantante a pugno chiuso sul palco  (forse una giovane Patti Smith?). Antonio, invece, si chiama così per Antonio Gramsci, lo dichiara lui stesso ("il fondatore del Partito Comunista Italiano"); anche lui è figlio dell'idealismo paterno, ma nel suo caso quell'eredità non si esplica nel sociale e nella politica, ma nel suo lato più intimo e sentimentale, facendo di lui un eterno innamorato e per questo, appunto, eternamente solo.
Gli abitanti dei due palazzi crollati vengono ospitati nel refettorio della chiesa, all'interno del quale spicca uno striscione "Eglise occupée", da cui il regista francese parte per dare inizio alla sequenza in cui ci mostra l'ambiente. Oltre a quello, però, c'è anche una grande riproduzione di un'Ultima cena del Seicento (scuola di Philippe de Champaigne, Louvre, inv. 1125), iconografia immancabile per un refettorio, che in questo caso strizza l'occhio al più celebre dei cenacoli, quello leonardesco. Guédiguian non lascia nulla al caso e, quando Alice sfoglia le tante cartoline che il padre durante la sua vita le ha inviato da ovunque, tra quelle su cui si sofferma, oltre al Cristo morto di Andrea Mantegna (Milano, Pinacoteca di Brera), c'è anche quella della famosa pittura murale del refettorio di Santa Maria delle Grazie.
Dietro alle immagini, le cartoline conservano pensieri e massime filosofiche inviate da Henri alla figlia e alle quali Alice è comprensibilmente legata: con quelle ci decora la stanza e rilegge spesso le frasi, con le quali vorrebbe scrivere un libro dal titolo Le parole di mio padre . L'idea che abbiamo di Henri è quella di un padre poco presente in passato nella vita della ragazza e quelle frasi sono anche i suoi insegnamenti: "prova di nuovo, fallisci di nuovo, fallisci meglio" (Samuel Beckett); "nessuno muore così povero da non lasciare nulla in eredità" (Blaise Pascal e Walter Benjamin); "sciagurati quei tempi in cui i matti guidano i ciechi" (William Shakespeare, Re Lear). E che a Henri sia affidata la parte filosofica della pellicola appare evidente anche più avanti, quando dice a Rosa "come gli stoici non ho né timore né speranza", mostrando tutta la sua calma di fronte all'irrequietezza della donna. A Rosa che esclama "ma perché sono così agitata?" Henri risponde serafico "succede quando si vuole cambiare il mondo, c'è molto da fare"). Entrambi, però, nonostante le differenze di carattere, sapranno dare saggi consigli alla coppia in difficoltà costituita dai rispettivi figli, Alice e Sarkis.
Storia e cultura si fondono anche nel monumento di zona, posto all'incrocio tra la stessa rue d'Aubagne e rue Moustier. Lì, infatti, alla sommità di una colonna, c'è il busto di Omero dello scultore francese D'Antoine (1737-1809) che fa da genius loci del quartiere. Il regista, attraverso i personaggi che ne parlano, ci racconta l'origine mitica della sua città, fondata dai marinai greci originari di Focea, una storia a cui i membri della famiglia armena protagonista non danno credito, convinti che a farlo siano stati proprio gli armeni.
E la festa continua
è un film sull'amore, quello tra madre e figli, quello tra padri e figli, quello per gli altri e per se stessi, che ci insegna che l'amore vero è quello che lascia liberi (vedi la compagna di Manis che supera le proprie paure sulla guerra in Armenia per lasciarlo libero di andare ad aiutare anche lì) e trova soluzioni laddove non se ne vedono (l'evoluzione finale del rapporto tra Sarkis e Alice). E tra le scene d'amore, un posto speciale occupano il tenero ballo tra Henri e Rosa in strada, dove, tra l'insicurezza del primo ("puoi spegnere le luci, non vorrei mi vedessi nudo?") e la dolce ironia della seconda ("quanti anni hai, cinque?"), la mdp si alza tra i palazzi cogliendoli con una soggettiva che in gergo è il "punto di vista di Dio".
Altrettanto poetica, inoltre, è quella della svolta nel pensiero e nella vita di Rosa, che di sera, con Henri unico spettatore non visto in platea, passeggia su un palco teatrale all'aperto, mentre le luci ne proiettano una lunghissima ombra sul pavimento e lei recita proprio Rosa Luxemburg: "una cinciallegra in particolare è diventata mia amica ... spero di morire dov'è il mio posto... ma la mia intimità appartiene molto più alle mie cinciallegre che ai compagni... bisogna continuare ad affermare che niente è finito, che tutto comincia".
In questa sequenza ascoltiamo in sottofondo il tema di Camille di Georges Delerue, ancora una volta una citazione da Jean Luc Godard e Il disprezzo (1960), nella meravigliosa scena di Brigitte Bardot e Michel Piccoli a letto, una delle scene più romantiche e sensuali della storia del cinema (vedi).
E, infine, nella sua essenza, la pellicola di Guédiguian  è anche e soprattutto l'amore di un regista per la sua città e un omaggio a Marsiglia che in questo film appare davvero come uno dei posti più belli in cui vivere: "sono tutti di sinistra qui, nessun borghese, nessun razzista, c'è solo brava gente", dice l'idealista Antonio ad Henri. Una città in cui di fronte ai diversi disastri - i palazzi crollati, le vicende politiche e quelle personali - tutti i personaggi credono con ottimismo nella rinascita. È l'amore totalizzante e il pieno orgoglio per la propria città quello che ti fa scrivere in sceneggiatura "a Marsiglia non è mai troppo tardi per cenare".
Guédiguian ha ragione: "l'ottimismo, in questo momento, è una necessità".

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