lunedì 24 ottobre 2022

Dante (Avati 2021)

"Dedicato a tutti i dantisti di ieri e di oggi".
Così Pupi Avati chiude il suo film per il centenario dantesco, che parte dal Trattatello in laude di Dante di Giovanni Boccaccio (1351-1372) e monta in maniera alternata le immagini della vita del protagonista a quelle del suo più grande ammiratore trecentesco, chiamato da Firenze per andare a Ravenna e consegnare un risarcimento in fiorini alla figlia di Dante, rimasta lì nel convento di Santo Stefano degli Ulivi.
Il regista bolognese parte dalla morte del poeta e racconta in flashback la sua vita, attraverso la voce off del personaggio di Boccaccio (Sergio Castellitto).
Dante giovane (Alessandro Sperduti), la morte della madre, Bella degli Abati, la vendita delle vesti della donna al trigesimo, e poi, naturalmente, la prima visione di Beatrice (Carlotta Gamba), figlia di Folco Portinari: a nove anni, a diciotto, dopo altri nove, all'ora nona, come racconta la Vita Nuova. Al matrimonio della ragazza, con Simone de' Bardi, Dante le recita Tanto gentile e tanto onesta pare, che anche Beatrice sembra già conoscere.
In quell'occasione Dante conosce Guido Cavalcanti (Romano Reggiani): i due diventeranno amici inseparabili, andranno in guerra a Campaldino insieme e solo la politica li separerà. Proprio nel campo di guerra, in un bell'inserto che tenta di coniugare la vita all'opera di Dante, ascolta in una serata attorno al fuoco un racconto su due amanti, che naturalmente diventeranno Paolo e Francesca del V canto dell'Inferno.
E poi il resto della sua vita, il matrimonio con Gemma Donati (un'impresentabile Ludovica Pedetta), la nomina a priore e l'esilio comminato a Cavalcanti, l'incontro con Bonifacio VIII (Leopoldo Mastelloni) e, infine, il suo esilio da Firenze.
Boccaccio viaggia verso nord, incontra Donato (Enrico Lo Verso), arriva a Vallombrosa, dove uno dei frati (Alessandro Haber) critica Dante per la sua opera prosaica e anticlericale, la Commedia, quella che proprio Boccaccio invece definirà "divina". Il film non lo ricorda, dato che andrebbe al di là della storia narrata, anche se fa dire al poeta di Certaldo "non poteva scrivere libro più santo", ma è proprio grazie a lui che solo nel 1555 un'edizione veneziana del poema, di Ludovico Dolce per i tipi di Gabriele Giolito, userà quell'aggettivo nel titolo che ancora oggi conosciamo in questa forma. Boccaccio arriverà a Ravenna e incontrerà suor Beatrice Alighieri (Valeria D'Obici). La location più identitaria della cittadina romagnola è quella della sequenza all'interno di Sant'Apollinare in Classe, in cui Dante, ormai anziano e vicino alla morte che a Firenze verrà salutata come la morte di un eretico, recita, davanti alla grande abside col mosaico con croce gemmata e Apollinare in preghiera, " 'l fine di tutt'i disii (Par. XXXIII, 46).
Tutto è molto televisivo e il risultato e l'atmosfera che si respirano non convincono, soprattutto quando la mdp amplia il suo sguardo e va a fotografare gli esterni, in cui tutto appare meno reale, con punte massime che danno la sensazione di essere di fronte a ricostruzioni di documentari.
La pellicola di Pupi Avati dà il meglio di sé nelle sequenze degli interni, in cui il pensiero va prima di tutto ai film storici di Roberto Rossellini per la tv. Costumi, ambientazioni, fotografia e atmosfere lì funzionano e bene. Le scene delle morti e delle figure allettate sono tra le più belle: inquadrature di lato, frontali, spazi angusti e letti rialzati, quasi verticali, per facilitare gli ultimi giorni di vita del moribondo, quasi un'addenda figurativa all'ultimo libro di Chiara Frugoni, A letto nel Medioevo (Bologna, Il Mulino 2022).
Avati risulta un pesce fuor d'acqua quando prova a sfruttare l'onirico, e la sequenza di Dante che sogna Beatrice in posa conturbante, simile all'Incubo di Füssli, seminuda, in parte coperta da un drappo rosso, ripresa mentre mangia il cuore pulsante del poeta, non scuote nemmeno un po' lo spettatore.
La morte di Beatrice - con Dante che recita Piangete, amanti, poi che piange Amore - consente a Pupi Avati un'altra citazione artistica e la sua lettiga portata in chiesa per la sepoltura ricorda tanto il feretro scolpito di Ilaria del Carretto.
Di evocazione in evocazione, Dante si addormenta davanti alla tomba di Beatrice e il suo corpo senza forza può ricordare, tra tanti, L'Angelo del Dolore, il monumento funebre realizzato nel 1894  dallo statunitense William Wetmore Story per sua moglie Emelyn Eldredge Story, nel cimitero acattolico di Roma.
Tra i richiami artistici il più interessante e diretto è quello del tableau vivant, degno de La ricotta di Pasolini o di Passion di Godard, in cui il celebre affresco di Andrea Bonaiuti con l'Esaltazione dell'ordine domenicano nel Cappellone degli Spagnoli di Santa Maria Novella (1365-68) viene in parte riprodotto con la presenza di alcuni personaggi del film.
Di arte e location si potrebbe parlare per molte righe, a partire dai titoli di testa, che scorrono su Donne che avete intelletto d'amore, e che hanno come sfondo gli affreschi trecenteschi di Santa Maria Assunta di Vallo di Nera, la chiesa francescana utilizzata anche per diverse sequenze del film.
Dante e Beatrice davanti la chiesa di
Santa Maria in Vallo di Nera
L'Umbria è forse la regione più battuta e, tra gli altri, la troupe ha girato a Perugia, i cui scorci "interpretano" la Firenze del Trecento, a Palazzo Trinci (la prima notte di Dante e Gemma, ma anche l'incontro di Dante e Cavalcanti sulla scalinata), a Bevagna, e nell'Abbazia benedettina di Santa Maria Valdiponte a Montelabate, che con il cui chiostro diventa quello di Santo Stefano degli Ulivi a Ravenna. Un po' di Firenze è ambientata anche nel borgo di Montecalvello nella Valle del Tevere, in provincia di Viterbo, e qui il Castello Balthus fa da Casa Alighieri, dove Dante bambino vede morire la madre.
Per chiudere, il dettaglio di una bambola fa da cornice a tutta la storia, passando dalle mani di Beatrice a quelle dello stesso Boccaccio, che l'acquista per sua figlia decenni dopo. Un'idea romantica, di come un oggetto possa varcare le epoche e accompagnare diverse persone, senza che i possessori sappiano chi li ha preceduti. Magari hanno qualche difetto, come in questo caso dimostra l'occhio rotto per un'antica caduta. È il potere evocativo degli oggetti che conserviamo nei musei, forse l'idea più bella del film di Pupi Avati, insieme a quella in cui vediamo il poeta, in esilio, scrivere su un lenzuolo i nomi dei personaggi della Commedia, l'opera con cui spera di poter rientrare a Firenze e di essere laureato poeta nel battistero di San Giovanni, "nel mio bel San Giovanni" (Inf. XIX, 17) e "ritornerò poeta, e in sul fonte del mio battesmo prenderò ‘l cappello" (Par. XXV, 8-9).

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