venerdì 7 maggio 2021

Minari (Lee Isaac Chung 2020)

Ambientato negli anni '80, quando Ronald Reagan era alla Casa Bianca, Minari racconta la storia di una famiglia di origine coreana, composta da Jacob (Steven Yeun), Monica (Han Ye-ri) e i piccoli David (Alan Kim) e Ann (Noel Kate Cho) che si trasferisce dalla California in Arkansas. Qui vivono in una casa-bungalow per stare vicini all'allevamento di pulcini dove lavorano i due genitori, una coppia non molto affiatata, poco comunicativa, spesso litigiosa e con un passato da metabolizzare che però la sceneggiatura lascia sfumato. Il loro è un difficile nuovo inizio (trailer).
L'arrivo della nonna materna dalla Corea sconvolgerà la quotidiana monotonia dei ragazzi, che impareranno a convivere con quest'anziana donna così lontana da tutto quello che hanno conosciuto fino ad allora, scoprendo che essere controcorrente può essere divertente...
La pellicola di Lee Isaac Chung, miglior film straniero ai Golden Globe, prodotta da Brad Pitt, è un racconto di formazione in piena regola, con un buon cast in cui brilla naturalmente l'interprete della nonna Soon-ja, Yoon Yeo-jeong, non a caso vincitrice di vari premi tra cui l'Oscar per la miglior attrice non protagonista.
Minari
 raggiunge delle vette di grande sensibilità, quelle che a volte solo i registi orientali possono raggiungere, con sequenze in cui non c'è bisogno di aggiungere parole alle immagini.
In tal senso scalda il cuore il momento in cui David e Ann, sconvolti per i continui litigi dei genitori, intervengono a loro modo, creando degli aeroplanini con la carta su cui scrivono "don't fight", che poi lasciano volare nella stanza in cui Jacob e Monica si stanno parlando con aggressività.
Anche la spiegazione del titolo del film porta con sé una scena poetica, che vede protagonista nonna Soon-ja che conduce i nipoti a passeggiare nella natura fino ad arrivare davanti ad uno specchio d'acqua. Qui gli parla della pianta acquatica minari e delle sue proprietà benefiche in un panorama da paradiso terrestre che viene stemperato dalla battuta con cui inizia il discorso, "almeno lo sapete cos'è minari voi stupidi americani stupidelli?"
Questo contrasto tra l'elegia e il politically incorrect della donna caratterizza l'intero film, cosicché dopo un po' ci si abitua a sue frasi e gesti di grande profondità, ma anche al suo essere una nonna completamente fuori dagli schemi, per nulla tradizionale, che gioca a carte, parla in maniera sboccata, siede in maniera scomposta, indossa mutandoni da uomo e tanto altro.
Il rapporto più difficile di Soon-ja è sicuramente quello con David, che inizia temendola, rifiutandola nella propria stanza ("la nonna puzza di Corea") e che non capisce proprio che nonna sia quella che non sa cucinare o fare biscotti come tutte le altre, alla quale per questo dice "tu non sei una vera nonna". Ed è sempre David a strappare il sorriso quando risponde alla nonna che si limita a dargli del carino: "io non sono carino, io sono bello".
Tornando invece alla battuta con cui Soon-ja provoca i nipoti intrisi di cultura americana, nonostante le origini coreane, va detto che essa tocca uno dei punti nodali della pellicola: il contrasto culturale vissuto da una famiglia di immigrati coreani negli Stati Uniti degli anni '80, che è anche elemento autobiografico del regista Lee Isaac Chung, classe 1978, nato a Denver da genitori sudcoreani e poi vissuto in una fattoria dell'Arkansas, proprio come i protagonisti della sua storia.
È sempre la nonna, inoltre, ad affermare che "l'America fa perdere la memoria alle persone" e che, rispetto alla fede cattolica abbracciata dalla figlia e dal genero, non è certo tenera e prorompe contro le preghiere imposte ai bambini prima della notte con un fulminante "perché gli fai fare tutte queste stronzate"?
Il dettaglio di un piccolo arazzo che campeggia sopra al divano di casa, raffigurante Cristo come pastore di anime contornato da un gregge di pecore, aiuta a contestualizzare questa realtà, anche se la scena più eloquente è quella della messa della domenica a cui si presentano i quattro, portando con sé l'immancabile nonna che puntualmente si addormenta per disinteresse, ma si risveglia in tempo per prendere una banconota dal cestino delle offerte.
L'ironia non manca ed è degna dei Monty Python la figura di Paul, un vicino devoto, capace di passeggiare mezzo nudo in strada portando un croce nella fanatica emulazione di Cristo.
Tra multiculturalismo e sogno americano, però, Minari risulta un buon film che lavora su inclusione e rapporti familiari, ma che non spicca per originalità e lo stesso personaggio della nonna, in fondo, rientra in uno schema abbastanza consueto e ampiamente prevedibile.

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