Taika David Waititi, strameritato Oscar per la migliore sceneggiatura non originale, tratta dal libro di Christine Leunens Come semi d'autunno (2004; pubblicato anche con il titolo Il cielo in gabbia), affronta una storia ambientata negli ultimi anni di nazismo in un'anonima cittadina tedesca con una leggerezza e una poesia difficilmente spiegabili a parole. Il film sembra così citare la magnifica battuta di Charlie Chaplin, secondo la quale "la vita è una tragedia se vista in primo piano, ma una commedia in campo lungo" (trailer).
Ed è proprio Il grande dittatore (1940) del cineasta inglese il riferimento inevitabile, la grande eccezione, che riuscì a fare di quel tema una strepitosa commedia mentre tutto stava accadendo.
Tornando ad anni più recenti, invece, aveva fatto qualcosa di simile Benigni con La vita è bella (1997), non c'è dubbio, ma qui tutto è più diretto e meno retorico, la storia scorre come in un film di Wes Anderson, tra colori, immagini oniriche (indimenticabili le farfalle che si materializzano dalla pancia del protagonista come segno del suo innamoramento) e delicatezza.
E quella sensibilità si rispecchia anche nei versi di Rainer Maria Rilke, che Waititi pone come explicit della sua opera: "Lascia che tutto ti accada: bellezza e terrore. / Si deve sempre andare: / nessun sentire è mai troppo lontano".
Johannes "Jojo" (Roman Griffin Davis) è un bambino berlinese di dieci anni che sta crescendo nella piena infatuazione per Adolf Hitler, tanto da averlo trasformato nel suo amico immaginario: lo vede, ci parla, si confida con lui. Il Führer, nei cui panni recita lo stesso regista neozelandese e di madre ebrea russa, arrivato al successo proprio come attore comico, è paragonabile a un'icona pop e non è un caso che la pellicola inizi e finisca con il sottofondo di due canzoni pop in versione tedesca, anacronistiche rispetto all'epoca della narrazione, I wanna hold your hand dei Beatles (ascolta), e Heroes di David Bowie (ascolta).
Tornando ad anni più recenti, invece, aveva fatto qualcosa di simile Benigni con La vita è bella (1997), non c'è dubbio, ma qui tutto è più diretto e meno retorico, la storia scorre come in un film di Wes Anderson, tra colori, immagini oniriche (indimenticabili le farfalle che si materializzano dalla pancia del protagonista come segno del suo innamoramento) e delicatezza.
E quella sensibilità si rispecchia anche nei versi di Rainer Maria Rilke, che Waititi pone come explicit della sua opera: "Lascia che tutto ti accada: bellezza e terrore. / Si deve sempre andare: / nessun sentire è mai troppo lontano".
Johannes "Jojo" (Roman Griffin Davis) è un bambino berlinese di dieci anni che sta crescendo nella piena infatuazione per Adolf Hitler, tanto da averlo trasformato nel suo amico immaginario: lo vede, ci parla, si confida con lui. Il Führer, nei cui panni recita lo stesso regista neozelandese e di madre ebrea russa, arrivato al successo proprio come attore comico, è paragonabile a un'icona pop e non è un caso che la pellicola inizi e finisca con il sottofondo di due canzoni pop in versione tedesca, anacronistiche rispetto all'epoca della narrazione, I wanna hold your hand dei Beatles (ascolta), e Heroes di David Bowie (ascolta).

Jojo vive da solo con la madre, Rosie (Scarlett Johansson), mentre suo padre è in servizio fuori dalla Germania, ma presto scopre che, nascosta nella loro soffitta, abita anche Elsa (Thomasin McKenzie), compagna di scuola di sua sorella Inge, morta da poco...
Jojo, come tutti i bambini tedeschi della sua età, è anche nella Jugend und Volk, in un gruppo guidato da un esilarante capitano Kleuzendorf (Sam Rockwell) che, dopo aver fallito la carriera di soldato delle SS, si è dovuto accontentare di addestrare ragazzi, rigorosamente divisi per maschi, adatti a "giochi di guerra, tecnica di imboscata e utilizzo di esplosivi", e femmine, che dovranno "curare ferite, rifare i letti, rimanere incinte" (sic!).
Jojo, che deve il suo nomignolo al mancato superamento di una prova di forza consistente nel torcere il collo di un coniglio, è goffo e fa esplodere una granata (che ruota in aria come l'osso di 2001. Odissea nello spazio - Kubrick 1968). Appare davvero inadatto ad essere un perfetto nazista e la sua sensibilità cozza sempre più con le certezze politiche di cui si dichiara sostenitore e che, col tempo, si fanno più incerte, complice anche un evidente innamoramento per Elsa, che gli insegna un po' di storia e a non credere più che i rabbini usino i prepuzi dei bambini come tappi per le orecchie, né che gli ebrei dormano a testa in giù come i pipistrelli.
Rosie è una madre amorevole che sa di dover sopperire all'assenza del marito per Jojo e, nella sequenza in cui lo fa di più e nella maniera più leggera, aggiunge al suo volto una finta barba fatta di fuliggine, che permette a Scarlett Johansson un po' di metarecitazione e di strizzare l'occhio a dive del calibro di Greta Garbo e Marlene Dietrich, che hanno spesso giocato a vestire i panni maschili.


Poesia, ironia, ritmo e anche un dipinto di Henri Rousseau nella scenografia, il pittore preferito di Waititi. Un film da non perdere!
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