mercoledì 23 luglio 2025

E.T. - L'extraterrestre (Spielberg 1982)

E.T. è un film che ha fatto epoca, rimasto nell'immaginario collettivo e addirittura entrato nel linguaggio comune, uno dei capolavori indiscutibili di Steven Spielberg, uno di quelli in cui la fredda perfezione del regista di Cincinnati non era ancora tale e in cui la passione per il cinema traspare a ogni fotogramma.
Dopo i grandi successi de Lo squalo (1975), Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977) e I predatori dell'arca perduta (1981), Spielberg avrebbe potuto chiedere tutto, eppure non pensò a una superproduzione, ma con E.T. si consacrò come autore in grado di unire fantasia, fiaba, stupore e commozione. Rivederlo oggi, soprattutto per chi era un bambino ai tempi dell'uscita (io lo vidi in sala a 7 anni in quello che allora era il cinema Induno, oggi diventato il Troisi a Trastevere, una delle migliori sale di Roma), scatena raffiche di madeleine, ma va detto che regge al tempo come tutti i grandi capolavori (trailer).
Impressionante, oltre la regia su cui torneremo, il livello degli attori bambini/adolescenti di un film che si regge completamente su di loro e sulla "creatura" di Carlo Rambaldi: Henry Thomas (classe 1971) nei panni di Elliot, Drew Barrymore (1975) in quelli della sorellina Gertie, e Robert MacNaughton (1966) come Michael, sono i tre fratelli Taylor, che vivono con la madre Mary (Dee Wallace), separata dal marito, che è andato via con un'altra donna. È un dettaglio all'interno della trama, ma è basilare per la lettura psicologica dei rapporti tra i membri di casa Taylor, dove il primogenito è il più attento ai sentimenti della mamma, Elliot il più arrabbiato e triste per quanto successo, e per questo in costante isolamento nella propria camera, dove l'evasione è costituita da pupazzi e fumetti di fantascienza, mentre Gertie, troppo piccola per altro, rappresenta la dolcezza infantile allo stato puro, pur se con la lingua già pronta di chi ha personalità da vendere.
Una delle sequenze iniziali è determinante rispetto al tema familiare: madre e figli sono a tavola ed Elliot viene preso in giro dal fratello maggiore per aver visto un extraterrestre, ovviamente considerato frutto della sua fantasia. Nel momento in cui anche Mary dimostra di non credere alle parole del figllio, la reazione di Elliot è durissima, "se ci fosse mio padre mi crederebbe", e alla risposta della madre, "chiamalo", colpisce per ferire, "lui è con Sally", assestando il colpo. La rabbia del momento causa una reazione che porta al pianto malcelato la madre, alla furia del fratello ("io ti uccido") e ai propri sensi di colpa, che non fanno che aumentare l'isolamento.
E.T. è un film di fantascienza, che di fantascienza ha ben poco, è un romanzo di formazione, in cui la fantasia di Elliot trova sostanza fisica in un essere insospettabilmente reale: E.T., di fatto, è la rivincita sociale del bambino sempre in disparte, il bambino riflessivo, sensibile e speculativo, in buona sostanza il bambino che era Steven Spileberg. Il titolo provvisorio della pellicola,  A Boy's Life, la dice lunga a riguardo.
Detto questo, il film funziona alla perfezione ed è girato a meraviglia, sin dalle prime immagini, che raccontano senza alcun bisogno di parole. Un inizio misterioso e avvincente, che sa di poliziesco e di western al tempo stesso è da manuale, anche perché, come noto, la fantascienza statunitense ha rappresentato lo sconfinamento del mito della frontiera una volta che l'occidente era arrivato fino al Pacifico. E così, vediamo uomini che cercano di catturare la creatura, mentre l'astronave da cui proviene è costretta a lasciarlo lì, in un'altra storia di abbandono che si accoppia a quella del protagonista Elliot.
Siamo a Los Angeles e il reticolo di vie ortogonali si vede dall'alto di Tujunga - il quartiere losangelino diventato una location cult proprio per questo film - dov'è la casa dei Tayor.
Sono tanti altri, però, i motivi cult della pellicola e basti pensare alla serie tv Stranger Things che ha ripreso lo stesso contesto iniziale, con un gruppo di ragazzini che sta giocando ad un gioco da tavolo/di ruolo nel seminterrato di una casa.
L'inquadratura notturna del portico sul retro, il giardino e il capanno in cui passano i fasci di luce diagonali, dove Elliot trova E.T., con il crescente lunare in cielo, è una delle immagini più belle del film, anche se meno identitaria di quella più nota, presente anche nella locandina, con il passaggio sulla bicicletta che vola e attraversa prima la luna e dopo il sole al tramonto.
E proprio questa immagine resta il grande punto di contatto tra il capolavoro di Spielberg e la sua fonte di ispirazione tutta italiana, quel Miracolo a Milano di Vittorio De Sica (1951), che nel finale fa volare sopra la città i senzatetto protagonisti della sua storia.
I riferimenti, però, sono tantissimi, a partire dalle fiabe. Elliot, quando la mattina dopo va a cercare E.T. lo fa utilizzando delle M&M's lungo il percorso, come le briciole di pane di Pollicino, e saranno proprio quelle ad attirare l'alieno che se ne dimostra ghiotto, fino ad arrivare poi nella stanza del ragazzo. Allo stesso tempo, nel corso del film, Mary legge un passo della storia di Peter Pan alla piccola Gert, per farla dormire, mentre gli altri fratelli ed E.T. guardano dalle feritoie dell'armadio.
All'inizio, i ragazzi prendono in giro Elliot spaventato da ciò che ha visto, e lo fanno anche fischiettando la sigla di Ai confini della realtà, la serie tv di fantascienza di Rod Serling, adorata anche dallo Spielberg adolescente, che forse stona un po' dal punto di vista cronologico, dato che venne trasmessa tra 1959 e 1964, ma che proprio l'anno dopo l'uscita di E.T., nel 1983, lo stesso Spielberg con Joe Dante, John Landis e George Miller fecero rivivere in un omonimo lungometraggio a episodi, cui seguirono altre tre stagioni televisive dal 1985 al 1989.
Più attuale ai tempi e decisamente più contestuale, invece, l'omaggio del regista all'amico George Lucas, quando Elliot e Michael inseriscono E.T. nel loro mascheramento per Halloween. Mentre passeggiano, l'extraterrestre si ferma quando vede un bambino vestito da Yoda di Guerre stellari - allora erano usciti i primi due episodi nel 1977 e nel 1980 e l'anno seguente sarebbe uscito Il ritorno dello Jedi -, e indicandolo pronuncia "casa".
Anche questo è un termine divenuto cult, posposto a telefono (in originale "phone home" che diventa appunto "telefono casa"), in un'espressione comunemente usata da allora anche in contesti totalmente slegati dall'origine cinematografica.
E poi, rimanendo all'immaginario cinefilo, lo stesso dito di E.T. che si illumina, indica, guarisce, si piega come quello di Elliot, quando durante le fasi di conoscenza tra i due l'alieno sembra attivare i neuroni specchio riproducendo tutti i movimenti del ragazzino. E così, anche quel dito piegato è apparentabile a quello di Danny Torrance in Shining (Kubrick 1980): a voi la scelta tra motivo psicologico o iconografico, anche perché in fondo, ancora una volta, E.T. altro non è che l'amico immaginario di Danny, che ha preso forma fisica. Quel dito, però, va detto, quando incontra quello di Elliot rappresenta anche la più evidente citazione dalla storia dell'arte più famosa, che rimanda inequivocabilmente alla Creazione di Adamo di Michelangelo al centro della volta della Cappella Sistina (1508-12).
La tecnologia, poi, è un altro elemento immancabile nei film di Spielberg, che tanto deve all'influenza del padre ingegnere informatico, come si evince nel più recente e autobiografico The Fabelmans (2022). In E.T., il regista riesce a far sembrare credibile che l'alieno riesca a comunicare con il suo pianeta utilizzando la tastiera dello Speak and Spell della Texas Instrument, un ombrello come antenna, una sega circolare e una forchetta. La magia del cinema, in quegli anni, si declina forse per la prima volta in maniera così diretta, a gruppi di ragazzi protagonisti di avventure straordinarie - si pensi anche a I Goonies (Donner 1985) o a Stand by me (Reiner 1986) -, e inevitabilmente la sceneggiatura si adatta al loro mondo. Questo vale per i giochi di ruolo dell'inizio; per lo Speak and Spell, definito come il primo pc portatile della storia, in Italia distribuito come Il Grillo Parlante dalla Clementoni (oggi ancora in commercio come Sapientino) e che in Inghilterra ispirò l'omonimo album dei Depeche Mode (1981); ma vale anche per tutti gli oggetti nella camera di Elliot o per Michael, che indossa una maglietta con Space Invaders e dichiara di aver fatto sessantanovemila punti ad Asteroid, due videogiochi che hanno fatto storia (1978 e 1979).
E.T. però, che si ritrova a passare una mattinata da solo in casa, mentre tutti sono a scuola e al lavoro, guarda in tv Tom & Jerry, ma si appassiona anche alle strisce del fumetto di Buck Rogers, pubblicato dal 1929 al 1967, ma che dopo aver ispirato film e telefilm, nel 1979 conobbe una nuova stagione produttiva (evidentemente quella che possiedono i Taylor).
Tra i tanti riferimenti alla fantascienza, c'è ovviamente anche quello interno alla filmografia di Spielberg, cioè Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977), che riviviamo alla presenza della navicella, nel vento epico nei capelli dei personaggi a terra - stile Mosè de I dieci comandamenti (De Mille 1956) -, e anche nel problema di comunicazione tra gli alieni e la terra, un tema brillantemente ripreso anche più recentemente dal bellissimo Arrival (Villeneuve 2016).
Il bacio di Elliot e quello di John Wayne
Come nel precedente del 1977, poi, la musica di John Williams, che accompagnerà le pellicole del regista fino a oggi, crea quell'effetto di continuum totale nel percorso di Spielberg.
La cinefilia, poi, affonda anche nella Hollywood classica e, così, l'empatia fisica che unisce E.T. ad Elliot, che sente i suoi stessi sentimenti, sintomi, disagi, si trasforma in una citazione fantastica, quando il bambino bacia la ragazzina di cui è innamorato a scuola, facendolo nello stesso modo romantico e quasi danzante con cui John Wayne bacia Maureen O'Hara nella commedia di John Ford Un uomo tranquillo (1952), ma con la gag di un altro coetaneo sotto i piedi per raggiungere l'altezza della bambina. E che John Ford sia il regista feticcio di Spielberg lo abbiamo imparato sempre in  The Fabelmans, dove il ruolo del grande cineasta è stato affidato a David Lynch.
Infine la bontà dell'alieno, un motivo non certo frequente nel cinema di fantascienza americano che, come detto, per anni è stato il naturale passaggio del mito della conquista dopo il western. Due dei generi statunitensi per antonomasia, però, - l'altro è naturalmente il musical - hanno pian piano perso quella natura violenta e piena di odio trasformandosi in qualcosa di diverso, che guardava con favore agli indiani così come agli alieni.
In questo senso E.T. è un film spartiacque sui temi dell'accettazione del diverso, dell'accoglienza, del rispetto dell'altro. E, nello stesso senso, appare di una modernità straordinaria anche la sequenza in cui a scuola, durante l'ora di scienze, Elliot, ancora una volta "connesso" intimamente al piccolo alieno, libera le rane che ogni bambino dovrebbe dissezionare, in anni in cui negli Stati Uniti era un momento tipico dei programmi scolastici e infatti visibile in tanti altri film.
Spielberg contamina i generi, li mescola, li infarcisce di motivi sociali rilevanti e li pone a portata di bambino, l'unico punto di vista dal quale viene osservata l'intera vicenda. E.T., in fondo, come dice Elliot a Gertie, "lo possono vedere soltanto i bambini...", anche se la sorellina risponde in maniera antifiabesca e razionale, "ma fammi il piacere".

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