mercoledì 12 giugno 2024

Kind of Kindness (Lanthimos 2024)

Yorgos Lanthimos torna al passato. Kind of Kindness sembra l'aggiornamento pop delle prime pellicole del regista greco, quelle più disturbanti, come Dogtooth (2009) e Alps (2011), ma con produzione e cast hollywoodiani (trailer).
Come nelle prime opere, l'approfondimento psicologico, sociale e politico è fondante e la società di Lanthimos resta quella che vive nel surrealismo granguignolesco, fatta di personaggi mentalmente fragili e capaci di azioni folli, autolesionistiche, inserite in strani rituali iniziatici e depuratori o alla ricerca di qualcosa che spesso ci sfugge. A capo di questi contesti sociali, uomini e donne con uno spasmodico bisogno di controllo sugli altri, quello che invece cercano il loro consenso in maniera totalizzante e ne fanno l'unica ragione del proprio essere. D'altronde non a caso il regista ha scelto "kindness" per il titolo, la cui valenza semantica spazia da "gentilezza" a "premura", ma anche, nella sfera dell'amore, ne sottolinea la totale "gratuità" e arriva a designare persino il "piacere sessuale".
Il film è strutturato in tre episodi, che vedono protagonista, almeno nel titolo, un personaggio in realtà minore delle vicende, un uomo anonimo che subisce gli eventi. La morte di R.M.F., R.M.F. vola, R.M.F. mangia un sandwich i tre titoli che preannunciano l'ironia macabra di storie in cui gli attori sono sempre gli stessi, ma che, fatta eccezione per R.M.F. (Yorgos Stefanakos), interpretano personaggi ogni volta diversi. Il premio vinto da Jesse Plemons a Cannes è sacrosanto, ma difficile non premiare anche gli altri. L'overcasting del progetto è palese, il film risulta un susseguirsi di pezzi di bravura della regia e della recitazione: si potrebbe dire che Lanthimos ha messo insieme alcuni tra i migliori attori su piazza per fargli fare cose assurde per due ore e mezzo, ma come sempre nella sua assurdità c'è tanto senso...
Nel primo episodio Robert (Jesse Plemons) ha una vita determinata dalle decisioni del suo capo, Raymond (Willem Dafoe), e quando si rifiuta di seguire un suo ordine e viene sostituito da una nuova vittima, Rita (Emma Stone), comprendiamo quanto tale controllo abbia influito su tutto, vita sentimentale compresa con la moglie Sarah (Hong Chau). Robert farà di tutto per rientrare nelle grazie di Raymond e di sua moglie Vivian (Margareth Qualley).
Nel secondo, ad Ocean Springs (come rivela l'OSPD della sua divisa), il poliziotto Daniel (Jesse Plemons) ha perso la moglie Liz (Emma Stone) dopo un naufragio e passa serate tristi con l'amico e collega Neil (Mamoudou Athie) e la compagna Martha (Margaret Qualley). Quando Liz viene ritrovata, all'iniziale felicità in Daniel fa posto il dubbio e la paranoia che non sia davvero sua moglie e fa richieste estreme alla donna perché dimostri il suo amore per lui.
Nel terzo, Emily (Emma Stone) e Andrew (Jesse Plemons) sono membri di una setta, guidata da Omi (Willelm Dafoe) e Aka (Hong Chau), alla ricerca di una donna che sia in grado di resuscitare i morti con l'imposizione delle mani. Provano con Anna (Hunter Schafer) e poi si mettono sulle tracce delle gemelle Ruth e Rebecca Weber (Margaret Qualley), che Emily ha sognato in uno strano contesto acquatico in cui le due ragazze sembravano praticare nuoto sincronizzato, e riescono anche ad intervistare loro padre, che però ne parla come fossero morte. Emily, abusata sessualmente dal marito Joseph (Joe Alwyn), diventa "impura" ed espulsa dalla setta, che non ammette la pratica del sesso. Pur di ottenere il consenso del gruppo, Emily continua la ricerca.

Basta dare un'occhiata a queste tre trame, per comprendere il leitmotiv di una pellicola basata sul sacrificio a cui l'uomo è disposto a sottoporsi per essere accettato. L'annullamento di se stesso, sembra suggerirci Lanthimos, è la battaglia che tutti dobbiamo combattere nel quotidiano sul lavoro (primo episodio), nelle relazioni (secondo episodio), nella società (terzo episodio).
Le azioni apparentemente assurde e disturbanti, si diceva, costituiscono l'anima del cinema di Lanthimos, e Kind of Kindness arricchisce il campionario del cineasta con incidenti d'auto programmati, tuffi in piscine vuote, dita cucinate per cena; organi autoespiantati; baci post vomito; una forte estetica necrofila; corpi sudati leccati per motivi scientifici e non certo passionali; auto guidate dissennatamente come nei videogiochi; sesso iniziatico tra guide spirituali e adepti - con tanto di sala d'aspetto -, ma anche sesso di gruppo tra coppie borghesi, immortalato in vecchie riprese riguardate in momenti completamente lontani da ogni pur minima eccitazione; carezze di un poliziotto a un pregiudicato non giustificate dall'attrazione ma dalla confusione.
Tra i tanti obblighi del plan a cui è quotidianamente sottoposto Robert, c'è anche la lettura di Anna Karenina (Tolstoj 1877), nonché le istruzioni su quali vestiti indossare, cosa bere, quando mangiare, quando riposare, quando fare sesso. Ed è giocoforza che, una volta perso il contatto col capo per un semplice principio di autodeterminazione, Robert non sarà più in grado di prendere decisioni, in una sorta di burn out non solo lavorativo, ma di vita intera. Persino per approcciare una donna, Rita, si troverà a riproporre le bieche tattiche autolesionistiche usate per conquistare la moglie grazie alle indicazioni del suo boss.
Raymond e gli altri leader degli episodi, tra l'altro, baciano i loro sottoposti sulle labbra, un gesto che nell'immaginario collettivo è sì quello dell'amore, di partenza, ma nella versione rituale degli uomini d'onore della mafia, che vuol dire ancora più controllo e annullamento della libertà. Come in quel contesto, basta una disobbedienza, un semplice no, perché si venga considerati dei traditori ed essere fuori dal cerchio magico: accade a Robert, ma anche a Emily. Allo stesso modo, la richiesta di perdono da parte del "superiore" di turno è ossessiva e gestita in modo drammatico: Robert per ottenere il perdono indaga, ruba, diventa falso e obliquo; Liz si distrugge letteralmente pur di essere accettata da Daniel e servirlo come desidera e non accetta quando suo padre, George, parla male di suo marito; Emily è pronta a rinunciare alla propria famiglia pur di essere riammessa nella setta.
Quello che accade a Daniel, poi, a cui viene diagnosticata una "forma lieve di delirio persecutorio", è uno dei massimi segni dell'ambiguità del reale in Lanthimos, qualcosa di decisamente polanskiano, poiché nulla segue le regole del senso comune.
Anche gli oggetti sono basilari e la loro trattazione meriterebbe spazio in un libro bellissimo come La mela di Cézanne e l'accendino di Hitchcock di Antonio Costa, che ha il difetto di essere uscito ormai dieci anni fa (Einaudi 2014). Il museo di oggetti sportivi del primo episodio è esemplare: Raymond regala a Robert la racchetta rotta da John McEnroe nel 1984, per andare a fare compagnia alla vetrina con il casco di Ayrton Senna, le scarpe di Michael Jordan e tanto altro. Ma poi ci sono la BMW blu di R.M.F., la statua della Madonna di Lourdes fuori casa di Daniel e Liz, l'auto viola guidata Emily e la sauna dove le persone vengono "preparate" per leccare loro il sudore e capire se sono contaminate o meno nel terzo episodio.
C'è molto dell'estetica tarantiniana in questo film di Lanthimos, a partire da Vivian che potrebbe essere la figlia di mia Wallace di Pulp Fiction (1993), così come la stessa auto viola di Emily starebbe benissimo in Grindhouse (2007) e non solo, mentre l'incredibile mise di Willem Dafoe, con sandali e calzini, giacca a vento rosa e soprattutto i capelli a banana, fanno pensare persino al Leningrad Cowboys go to America di Kaurismaki (1996).
La regia, che spesso ricorre a dissolvenze incrociate e a brevi flashback in bianco e nero che ci illustrano quanto ha determinato i comportamenti dei personaggi che vediamo nel presente, è lenta e cinica: la mdp si muove lentamente con carrelli (soprattutto in avanti) che amplificano l'attesa e l'agonia di molte scene. In un caso la mdp si sposta in orizzontale passando da un ambiente all'altro (e rivelando il divisorio della messa in scena), seguendo Daniel che da un lato in bagno si lava le mani e dall'altro risponde al telefono. E ancora, l'inquadratura che mostra Liz sdraiata sul divano dopo gli atroci dolori inflittisi omaggia il Cristo morto di Mantegna (Milano, Pinacoteca di Brera). Proprio la storia dell'arte, peraltro, è protagonista della locandina del film, tripartita come la sceneggiatura, che strizza l'occhio al surrealismo bretoniano con la racchetta di McEnroe a fare da orologio sciolto alla Dalì, affiancata dal dito mozzato di Liz, e al centro la mano sanguinante di Robert tenuta da un groviglio di mani, sormontata da una goccia.

Anche la fotografia di Robbie Ryan è molto incisiva e in alcuni frangenti, si veda Rita seduta sul divano in una stanza illuminata dalle lampade, i rimandi alla pittura statunitense e a Edward Hopper appaiono evidenti. Allo stesso modo le inquadrature totalizzanti degli incredibili uffici vetrati dei grattacieli del primo episodio, nella loro vertiginosa glacialità, dicono moto più di mille parole sulla prigione psicologica di Robert.
Inoltre, al fastidio generato da molte sequenze, che può travalicare nell'insopportabilità a seconda dello spettatore, un ruolo determinante è giocato dai motivi dissonanti del pianoforte di Jerskin Fendrix, autore della colonna sonora.
Ci sono anche diversi brani di musica pop, però, a caratterizzare alcuni momenti iconici della pellicola. Si parte con i titoli di testa sulle note extradiegetiche di Sweet dreams degli Eurythmics, che dopo la prima sequenza diventano diegetiche poiché provengono dall'auto di R.M.F.; si passa per How deep is your love che Vivian improvvisa maldestramente con una tastiera in salotto; si arriva a Emily che balla davanti alla sua auto Brand New Bitch della cantante dance svedese Cobrah (video e film).
Un discorso a parte meritano i titoli di coda del secondo episodio, che in qualche modo echeggiano l'assurdo racconto di Emily che, naufraga sull'isola, ha visto una società di cani che la abitava e che li teneva prigionieri, ma trattandoli molto meglio di quanto di umani fanno con gli animali. La sua narrazione fa pensare ai Libri di meraviglie che secoli fa vagheggiavano di popolazioni di cinocefali che vivevano in luoghi esotici ancora ignoti all'uomo o ad un rimando decisamente più cinefilo, quello de L'isola dei cani (Anderson 201). Nei titoli di coda dell'episodio, invece, i cani hanno sostituito gli uomini nella nostra società, guidano, vanno al mare e vivono nelle città al suono di Rainbow in the dark del gruppo metal Dio (1983). Sui rimandi cinefili, inoltre, nello strano rapporto tra Robert e il barista del primo episodio, l'osservatore più attento non potrà fare a meno di pensare a Jack Torrance-Jack Nicholson che, in Shining (Kubrick 1980), parlava al banco con Lloyd, interpretato da Joe Turkel
Molte anche le frasi di una sceneggiatura tagliente e beffarda, che Lanthimos ha scritto con Efthymis Filippou, e che mette a disagio come la regia e la musica. Si pensi a Raymond che dice a Robert "gli uomini magri sono la cosa più ridicola che esista", o alla frase rivolta a Emily, piangente fuori dal cancello, dopo l'espulsione dalla setta, "forse sei fatta per crescere una figlia e vivere con un marito. Non è poi così male"; nonché alla inappuntabile razionalità di Rebecca che dice a Emily e Andrew che "seguendo l'ordine naturale delle cose avrei dovuto essere morta".
Nulla, questo è certo, mette a proprio agio durante la visione del film di Lanthimos, forse soprattutto perché "nulla segue l'ordine naturale delle cose". 

venerdì 7 giugno 2024

Marcello mio (Honoré 2024)

Christophe Honoré, o meglio Chiara Mastroianni.
Difficile guardare il film del regista francese senza pensare esclusivamente all'attrice che lo interpreta, poiché la pellicola è una vera e propria forma di terapia di Chiara per la perdita dell'ingombrante padre, Marcello, a cui ovviamente rimanda il titolo. Per lo spettatore, invece, la sensazione di aver assistito con voyeurismo a una seduta di terapia altrui, con tanta cinefilia.
L'intera storia è un continuo rimando a ruoli e momenti della carriera di Marcello Mastroianni, a partire dalla primissima sequenza che mostra Chiara attrice - a cui viene chiesto di essere "meno Deneuve e più Mastroianni" - come Anita Ekberg, in piedi all'interno della fontana parigina di Place Saint-Sulpice, nota anche come dei Quatre Points Cardinaux. La Fontana di Trevi, in una sorta di chiusura del cerchio, arriverà molto più avanti nel film, con Chiara stavolta nei panni del padre, che, come faceva lui ne La dolce vita (Fellini 1960), entra nella grande vasca (trailer).

sabato 1 giugno 2024

Chien de la casse (Durand 2023)

Il film di Jean-Baptiste Durand, trentottenne regista francese all'esordio dietro la mdp, è un pugno nello stomaco assestato con tanta dolcezza. Meritati i premi César per la miglior opera prima e al miglior attore esordiente per Raphaël Quenard.
Chien de la casse, espressione idiomatica francese, che nei titoli italiano e inglese è stata resa con Cane rabbioso Junkyard dog (cane da combattimento), potrebbe in realtà essere tradotta come "rottame da discarica", adattabile alle persone in senso metaforico. Che poi nel film uno splendido esemplare di pitbull ci sia anche è un altro discorso... (trailer)