Sex è quella che potremmo definire una commedia filosofica, con tratti surreali tipici della comicità nord europea, e penso soprattutto al cinema di Aki Kaurismaki, indubbiamente il cineasta nordeuropeo più famoso vicino all'atmosfera che si respira in questa pellicola, che ha per protagonisti due spazzacamini (trailer).
I due uomini, a cui la sceneggiatura non dà nome, sono molto diversi: il primo (Thorbjørn Harr), biondo e con dei baffi molto anni '70, è cattolico e abbastanza tradizionalista; l'altro (Jan Gunnar Røise) è castano, ateo e con un temperamento molto più serafico e possibilista rispetto alle sfaccettature dell'essere umano.
Tutto questo lo comprendiamo sin dalle prime battute, perché i due in una pausa dal lavoro si stanno confidando dei dettagli molto intimi delle proprie vite. Il primo racconta di un sogno in cui un uomo, che sulle prime gli sembrava essere Dio e che poi scopriva essere David Bowie, lo guardava con desiderio considerandolo una donna. L'altro, invece, condivide l'esperienza sessuale avuta con un cliente, cosa che non gli era mai successa prima e che non gli fa riconsiderare il suo orientamento, reputandola solo un'attrazione estemporanea per la persona e per la situazione, unita alla volontà di sperimentare.
Di fatto entrambi si sono sentiti lusingati di essere stati desiderati, ma mentre per uno è stato un momento inconscio che lo ha turbato, per l'altro non solo è stato reale, ma lui stesso ha dato seguito alla cosa fino a fare sesso con lo sconosciuto, rimanendone anche piacevolmente sorpreso. L'elemento più disarmante è la serenità con cui ne parla, anche rispetto alla relazione di coppia, pensando che alla moglie non creerà problemi, dato che non si è trattato di amore, ma solo del sesso di un pomeriggio.
Per lui non parlarne e non condividere quell'esperienza con lei sarebbe il vero tradimento, e si spiega la differente posizione del collega con le inibizioni della cultura cristiana di cui quello è intriso, piena di sensi di colpa e di abitudine a dividere, con netta dicotomia, tra giusto e sbagliato. D'altronde lo dirà chiaramente, secondo lui "amettere di essere cristiani è peggio di dire di aver fatto sesso con un uomo".
Il concetto di tradimento viene scandagliato da entrambi e diventerà argomento principale anche del dialogo a casa con le mogli, che hanno atteggiamenti molto diversi: quella del primo liquida velocemente il sogno del marito, che invece vorrebbe approfondire; la moglie del secondo vive con tremenda difficoltà questa rivelazione che fatica a non considerare tradimento, e ne vuole analizzare ogni singolo aspetto.
Tutto, agli occhi dello spettatore, appare surreale. L'uomo che ha fatto sesso con il cliente dà delle risposte secche e naturali, che lo rendono un personaggio incredibile, quanto affascinante: "una birra non fa di me un alcolizzato", dice alla moglie che continua a fare domande, a chiedere dettagli sempre più specifici su quanto accaduto e su come lui abbia vissuto quell'esperienza. Per lo spazzacamino ateo non c'è senso di colpa e il desiderio non c'entra con l'amore, che chiaramente va oltre quelle che lui reputa banali condivisioni momentanee del corpo e del piacere, prive di una relazione più complessa alla base.
Scopriamo anche che lo spazzacamino cattolico si diletta nel cantare e ha un'insegnante che, per l'occasione gli fa anche da psicoterapeuta, distendendogli fisicamente la lingua, ma che gli consiglia anche di leggere Hannah Arendt, non a caso la più convinta pensatrice della libertà condizionata dalla filosofia antipolitica e, soprattutto, dalla cultura cristiana.
Scopriamo anche che lo spazzacamino cattolico si diletta nel cantare e ha un'insegnante che, per l'occasione gli fa anche da psicoterapeuta, distendendogli fisicamente la lingua, ma che gli consiglia anche di leggere Hannah Arendt, non a caso la più convinta pensatrice della libertà condizionata dalla filosofia antipolitica e, soprattutto, dalla cultura cristiana.
La dottoressa che l'uomo incontra con il figlio, poi, ci regala la digressione più divertente del film, che Haugerud sceneggia e mette in scena come un flashback e che riguarda una coppia di architetti gay e un tatuaggio con la scritta Frank Lloyd Wright (ma con il font Le Corbusier) in una scena dall'ironia sempre più scandinava.
Tra i momenti più intimi e comunicativamente poetici della pellicola, invece, l'ennesimo dialogo tra i due si svolge su un tetto, nel luogo più identitario per due spazzacamini, laddove lontano da tutti le confidenze possono essere ancora più libere.
E poi Haugerud, in quello che sembra l'ennesimo inserto surreale, ma realistico al tempo stesso, ci ricorda che lo spazzacamino in Norvegia è considerato un portafortuna, forse perché la sua attività ha sempre limitato il rischio di incendi nelle abitazioni. Se, però, in Mary Poppins Dick Van Dike cantava "allegro e felice la mano vi dò", in Sex Thorbjørn Harr danza con movenze da musical anni '80 sulle rilassanti note della colonna sonora di Peder Capjon Kjellsby, i cui brani accompagnano le tante inquadrature su Oslo, vuota, malinconica, che dividono i diversi momenti del film. E la città è spesso protagonista col suo skyline, anche negli sfondi dei dialoghi tra i due spazzacamini e tra loro e le mogli. Haugerud è affascinato dalla perfezione delle prospettive centrali e da vedute urbane a volo d'uccello che ci mostra aperte o filtrate dalle grandi vetrate degli appartamenti scandinavi.
Anche gli oggetti hanno un valore simbolico in Sex, cosicché non si può non notare che la moglie dello spazzacamino biondo monti un acchiappasogni sopra il letto, che inevitabilmente infastidirà il marito che invece vorrebbe smettere di fare sogni destabilizzanti; ma anche che la moglie dell'altro piange con a fianco il cubo di Rubik, il rompicapo più famoso degli anni '80 (proprio mentre lei sta vivendo il rompicapo più complesso della propria vita); e infine, in una panoramica lungo i pensili della cucina, la mdp inquadra una saliera (o forse un piccolo timer) a forma di Ziggy Stardust, altro omaggio a David Bowie. E l'evocazione dell'artista londinese si reitera sul finale, quando l'insegna di un locale recita Rebel e, a quel punto, non si può non pensare a Rebel Rebel.
La pellicola è divertente, fa riflettere costantemente e ha il merito di farcelo fare col sorriso: l'ottima sceneggiatura è accompagnata dalla buona recitazione degli attori, con le loro facce attonite e impassibili, a seconda del caso, mentre si parla di particolari di cui, forse anche di più alle nostre latitudini, sembra impossibile parlare così liberamente, amplifica il tutto.
In questo senso, non è eccezionale solo lo scambio tra moglie tradita e marito, ma anche il racconto del sogno dello spazzacamino biondo, che decide di parlare di quell'argomento in cucina, mentre con lui e la moglie c'è anche il figlio adolescente, che per giunta sta imparando a cucire a macchina gli abiti per lo spettacolo musical a cui parteciperà anche il padre, altro inserto surreale del film. Haugerud sceglie il 'cucito', forse l'incombenza femminile più tradizionale per antonomasia, per ribaltare ulteriormente le abitudini dello spettatore e stravolgere la narrazione rendendo tutto parossistico e facendoci riflettere sul perché sia così ovvio che per noi lo sia.
D'altronde la sceneggiatura è chiara: "bisogna parlare con persone che rendono il mondo più grande, non più piccolo". Un mantra, una filosofia di vita. Fantastico!
Nessun commento:
Posta un commento