La pellicola, che come il romanzo rappresenta una netta esaltazione dell'individualismo, costò molto, circa due milioni e mezzo di dollari, e gli incassi non riuscirono a coprire le spese. Più volte stroncato, il film servì piuttosto da traino per le vendite del libro e la Rand, col tempo, prese le distanze dal progetto, dichiarando che non avrebbe più concesso i diritti senza poter scegliere regista e sceneggiatore.
Eppure il soggetto, la difficile ascesa di un architetto che non accetta compromessi, liberamente ispirato alla vita di Frank Lloyd Wright, è stato più volte preso in considerazione per un nuovo adattamento e, tra gli altri, ci hanno pensato Michael Cimino negli anni settanta, Oliver Stone negli anni novanta e, nel 2016, anche Zack Snyder ha dichiarato di aver iniziato a lavorarci.
I protagonisti con la scrittrice Ayn Rand |
Subito dopo, un altro espediente di manipolazione cronologica, con il topos anni '30 dei fogli di un calendario da scrivania che si strappano uno dopo l'altro ad indicare il tempo che passa.
Anni dopo, il capo, morente, ribadirà ancora a Roark che per lavorare dovrà accettare compromessi, altrimenti "sei sulla strada dell'inferno".
Ad abbassare ulteriormente le possibilità di Howard di ottenere un incarico prestigioso per qualche progetto, la connessione tra i potenziali committenti e la carta stampata, su tutti Gail Wynand (Raymond Massey), grande magnate e padrone di uno dei principali quotidiani della città, il New York Banner, su cui scrive di architettura, con posizioni reazionarie, il giornalista Ellsworth Toohey (Robert Douglas). Wynand in realtà la pensa diversamente, ma preferisce che il giornale vada avanti così per non perdere gli introiti delle copie vendute ("non deve confondermi con i miei lettori").
Howard Roark è un uomo tutto di un pezzo e non potrebbe essere altrimenti nel cinema hollywoodiano dell'epoca, tanto più se interpretato dall'integerrimo Gary Cooper, uno di quegli attori la cui scelta determinava già di per sé i caratteri del personaggio. A lui si contrappone l'amico e collega Peter Keating (Kent Smith), totalmente accondiscendente alla volontà della committenza, privo di idee originali, e la cui vicenda professionale, fatalmente, evolverà in senso opposto a quella di Roark.
Ad abbassare ulteriormente le possibilità di Howard di ottenere un incarico prestigioso per qualche progetto, la connessione tra i potenziali committenti e la carta stampata, su tutti Gail Wynand (Raymond Massey), grande magnate e padrone di uno dei principali quotidiani della città, il New York Banner, su cui scrive di architettura, con posizioni reazionarie, il giornalista Ellsworth Toohey (Robert Douglas). Wynand in realtà la pensa diversamente, ma preferisce che il giornale vada avanti così per non perdere gli introiti delle copie vendute ("non deve confondermi con i miei lettori").
Roark rifiuta modifiche in stile classico ad un suo progetto |
La natura di quest'ultimo e il suo rapporto con il lavoro può essere riassunta in una battuta fondamentale, pronunciata davanti al consiglio di amministrazione della Banca del credito che, dopo avergli commissionato un progetto per l'imponente sede, gli chiede una serie di modifiche che prevedono timpani, frontoni e colonne classiche, nella convinzione che "l'originalità piace se non è eccessiva". Howard, ferreo nella sua decisione che tradisce solo un minimo turbamento di chi sta forse rinunciando all'occasione della vita, replica: "io non costruisco per avere clienti, cerco clienti perché voglio costruire", e di fronte alla sorpresa degli astanti rincara la dose, con un eloquente "ma piuttosto faccio il manovale se necessario" (vedi).
E così sarà, ma naturalmente, proprio in un cantiere in Arizona, incontrerà Dominique Francon (Patricia Neal), la bella giornalista d'arte e architettura che rimarrà turbata da lui e con cui inizierà una tormentata storia d'amore. Inutile dirlo... della donna s'innamorerà anche il potente Wynand, mentre Howard risalirà la china partendo con piccoli progetti di semplici stazioni di servizio.
Nel film ci sono tutti gli ingredienti della Hollywood classica: due divi, gli ideali, professione e amore osteggiati, visione manichea, sviluppo della vicenda sulla base di questi contrasti, lieto fine dopo il superamento di ogni ostacolo.
Nel film ci sono tutti gli ingredienti della Hollywood classica: due divi, gli ideali, professione e amore osteggiati, visione manichea, sviluppo della vicenda sulla base di questi contrasti, lieto fine dopo il superamento di ogni ostacolo.
E con tutto questo si sposano perfettamente i cliché drammaturgici de La fonte meravigliosa: basti pensare alla sequenza in cui Dominique lascia cadere una statuetta antica dalla finestra, metafora della rinuncia all'amore, ma anche il travolgimento dei sensi che attanaglia i due, dopo le inevitabili schermaglie e la conseguente furia dell'indispettita Dominique che, letteralmente "a briglie sciolte", galoppa frustando ripetutamente il suo cavallo.
Allo stesso modo la sceneggiatura prevede dialoghi magniloquenti e utopistici, nei quali Howard ribadisce costantemente la sua incorruttibilità professionale, "l'uomo che lavora per gli altri è uno schiavo", tanto da non accettare nemmeno la causa umanitaria, come le Case del Popolo, se il progetto da lui ideato non viene eseguito in tutti i dettagli.
Il suo atteggiamento, naturalmente, viene ammirato dalla stessa Francon, che tesse le lodi di quel comportamento onesto, irreprensibile e in grado di non fargli tradire se stesso, a differenza di tutti quelli che lo circondano: la solitudine dell'eroe.
E la stima e l'amore restano tali anche quando Roark, per non accettare le modifiche imposte ad un suo progetto, la coinvolgerà in un progetto dinamitardo, di cui la diretta conseguenza sarà un processo, luogo per antonomasia di massima magniloquenza cinematografica, in cui bene e male sono a contrasto nella maniera più diretta, con il primo sotto accusa, ma capace di reagire e di ribaltare la situazione. Il conflitto, sceneggiato in quegli anni, non può non investire anche la sfera politica, cosicché i termini della questione contrappongono "chi crea" e il "parassita", "l'individuale contro il collettivo", nei quali neanche troppo velatamente si nascondono, seppur travisati, gli ideali del liberismo statunitense e quelli del comunismo sovietico.
Il segno dei tempi è particolarmente evidente e, per motivi totalmente differenti, affiora anche nelle parole dell'innamorata Dominique che, lasciatasi andare con Howard dopo le resistenze iniziali, è pronta a trasformarsi nel modello femminile più retrivo, pronta a dichiarare "vuoi sposarmi? [...] cucinerò, laverò la tua roba, lustrerò per terra" (vedi), una frase che, per fugare ogni lecito dubbio, è tale anche nella versione originale (vedi).
Allo stesso modo la sceneggiatura prevede dialoghi magniloquenti e utopistici, nei quali Howard ribadisce costantemente la sua incorruttibilità professionale, "l'uomo che lavora per gli altri è uno schiavo", tanto da non accettare nemmeno la causa umanitaria, come le Case del Popolo, se il progetto da lui ideato non viene eseguito in tutti i dettagli.
Il suo atteggiamento, naturalmente, viene ammirato dalla stessa Francon, che tesse le lodi di quel comportamento onesto, irreprensibile e in grado di non fargli tradire se stesso, a differenza di tutti quelli che lo circondano: la solitudine dell'eroe.
E la stima e l'amore restano tali anche quando Roark, per non accettare le modifiche imposte ad un suo progetto, la coinvolgerà in un progetto dinamitardo, di cui la diretta conseguenza sarà un processo, luogo per antonomasia di massima magniloquenza cinematografica, in cui bene e male sono a contrasto nella maniera più diretta, con il primo sotto accusa, ma capace di reagire e di ribaltare la situazione. Il conflitto, sceneggiato in quegli anni, non può non investire anche la sfera politica, cosicché i termini della questione contrappongono "chi crea" e il "parassita", "l'individuale contro il collettivo", nei quali neanche troppo velatamente si nascondono, seppur travisati, gli ideali del liberismo statunitense e quelli del comunismo sovietico.
L'incontro tra Howard e Dominique e il sogno di Gregory Peck in Io ti salverò |
Il film, nella sua classica e rasserenante prevedibilità hollywoodiana, l'opposto cinematografico di quello che il protagonista sostiene in architettura, ha un indubbio fascino visivo. S'è già detto degli espedienti iniziali di Vidor, che inoltre qua e là posiziona la mdp in basso, scorciando le figure e mostrando soffitti incombenti che aveva introdotto negli studios Orson Welles in Quarto Potere (1940), a sua volta ispiratosi a Leni Riefnestahl che in Olympia, per rendere più epici gli atleti, aveva persino scavato delle buche in cui sistemare la cinepresa.
Che il capolavoro di Welles sia un punto di riferimento, è ribadito anche dalla già sottolineata relazione tra giornali e opinione pubblica: Wynand arriverà a dire "la guido io la pubblica opinione", che tanto si avvicina al celebre "se il titolo è grande la notizia diventa subito importante" di Charles Forster Kane.In altri casi, invece, complice anche la storia d'amore tra Howard e Dominique, l'atmosfera che si respira è simile a quella di Io ti salverò (Hitchcock 1945), con cui peraltro il film condivide un vertiginoso sottinsù, quello in cui Gary Cooper guarda dal basso della cava in cui sta lavorando la figura stagliata nel cielo di Patricia Neal, così come avveniva nel sogno del precedente hitchcockiano scenografato da Salvador Dalì.
La travolgente retorica della pellicola non conosce sosta e prosegue fino al termine, in cui Dominique raggiunge Howard, in un altro clamoroso sottinsù, sulla sommità di un grattacielo in costruzione, simbolo della vetta professionale raggiunta dal protagonista.
Tra le possibili suggestioni visive, invece, direi persino iconografiche, merita attenzione l'ufficio di Wynand, nel quale campeggia un grande planisfero sulla parete, che di primo acchito non può non far pensare a quello che quindici anni dopo sistemerà dietro il grande tavolo ovale Stanley Kubrick (o meglio il suo scenografo Kenneth Adam) nel Dottor Stranamore.
L'ufficio di Wynand e la stanza dei bottoni di Stranamore |
Un'ultima influenza, infine, va indubbiamente riconosciuta al film, o al libro (non è dato sapere), sul quartiere romano costruito tra il 1972 e il 1982 tra le vie Ardeatina e Laurentina, e che prende proprio il nome di Fonte Meravigliosa. Non può essere un caso, anche se nessuno sembra confermarlo!
Film decisamente cresciuto con il tempo. Effettivamente visto all’ epoca poteva sembrare inusuale e sin troppo magniloquente. Oltre ad avere scene oltremodo passionali ed inusuali. Gary Cooper che con il suo fisico statuario lavora alla cava con Patricia Neal che si staglia sullo sfondo e lo guarda dall’ alto…
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