Purtroppo questo annus horribilis per il cinema sembra non finire mai, e da qualche giorno ci ha lasciato anche Abbas Kiarostami, il più celebre regista iraniano.
Era nato 76 anni fa a Teheran, dove aveva studiato Belle Arti e vinto un premio di pittura ancora diciottenne, per poi passare alla pubblicità, come designer ma anche come regista di numerosi spot per la televisione iraniana, e alle illustrazioni per l'editoria dell'infanzia, un'esperienza che gli è rimasta così addosso da inserirla qua e là in tutta la sua filmografia. Per alcuni versi, il suo tocco e la sua leggerezza ne fanno una sorta di Miyazaki del Medio Oriente, forse l'unico cineasta a cui può essere paragonato...
La sua carriera di regista cinematografico è iniziata negli anni settanta con il primo lungometraggio dal titolo Il viaggiatore (1974), incentrato sulla storia di un ragazzo che fa di tutto per riuscire ad andare a vedere la partita della nazionale nella capitale iraniana. Sono seguiti altri film come Gozaresh (1977), Dov'è la casa del mio amico? (1987), splendida storia del viaggio di un bambino che deve riconsegnare il quaderno ad un compagno a cui lo ha sottratto per sbaglio; Compiti a casa (1989), ma è con le cinque pellicole dell'ultimo decennio del secolo scorso che la sua fama è diventata internazionale. Ne hanno così sancito la consacrazione prima Close Up (1990), che racconta la storia realmente accaduta di un giovane disoccupato che finge di essere il regista Mohsen Makhmalbaf per farsi ospitare da una famiglia benestante; E la vita continua (1992), che ritorna sui luoghi di Dov'e la casa del mio amico; Sotto gli ulivi (1994), in cui mescola storie vere e di finzione; Il sapore della ciliegia (1997), con cui ha vinto la Palma d'Oro a Cannes, storia i un potenziale suicida che cerca qualcuno che lo seppellisca; Il vento ci porterà via (1999), con il Kurdistan di sfondo e un bambino che torna a essere protagonista.
Negli anni successivi è tornato al documentario con ABC Africa (2001), Five (2004) e 10 on Ten (2004), e parallelamente ha realizzato altri lungometraggi come Dieci (2002), Tickets (2005), ha partecipato a Where is my Romeo? (2007), con l'episodio Chacun son cinéma (2007), Shirin (2008), Copia conforme (2010) e, infine, Qualcuno da amare (2012).
Oggi non è possibile pensare ad altri cineasti iraniani come lo stesso Mohsen Makhmalbaf, sua figlia Samira, Jafar Panahi o Ashgar Farhadi senza citare il nome di Kiarostami, capace di cambiare il cinema del suo paese in anni difficili, in cui la rivoluzione del 1979, che portò alla repubblica guidata da Khomeini, ha segnato uno spartiacque importante ma non certo risolutivo rispetto ai grandi ostacoli della censura.
Kiarostami ha raccontato la sua terra e spesso, soprattutto negli anni ottanta, l'ha fatto mettendo sullo schermo i bambini, un'impresa che, come dice Scorsese nel suo bellissimo Il mio viaggio in Italia (1999), riesce a pochi e che oltre a Vittorio De Sica (Scorsese ne parla a proposito di Ladri di biciclette se non erro), è riuscita sicuramente a Yasuhiro Ozu (es. Sono nato ma..., 1932), a cui Kiarostami ha dedicato Five, e allo stesso regista iraniano.
Un'immagine de Il giorno della prima di Close Up |
Amato da Jean-Luc Godard, Martin Scorsese e, in Italia, da Nanni Moretti, è rimasta celebre la frase del primo, che disse "Il cinema inizia con D.W Griffith e finisce con Abbas Kiarostami", mentre il cineasta italiano gli ha dedicato un cortometraggio Il giorno della prima di Close Up (1996), in cui ha raccontato la prima proiezione del film nel suo Nuovo Sacher.
Se n'è andato un poeta e, per dirla con Moravia, "di poeti non ce ne sono tanti nel mondo, ne nascono tre o quattro soltanto dentro un secolo", addio Abbas, nell'attesa riguarderemo i tuoi film!
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