mercoledì 22 ottobre 2025

Tre ciotole (Coixet 2025)

"Certo, nessuno scriverebbe canzoni d'amore se l'amore non fosse un casino, un grande casino, o solo un malinteso".
Con questa riflessione Marta, interpretata da Alba Rohrwacher, prova ad accettare la fine della sua relazione, dopo la decisione presa dal suo ex fidanzato, in questo bel film diretto dalla regista catalana Isabel Coixet, tratto dall'omonimo romanzo di Michela Murgia, pubblicato nel 2023 a pochi mesi dalla sua scomparsa, e di cui lei stessa diceva "tutto è autobiografico e niente è autobiografico" (trailer).
Marta, insegnante di educazione fisica in una scuola romana, è stata da poco lasciata da Antonio (Elio Germano), cuoco e titolare di un ristorante a Trastevere. La distanza tra di loro è aumentata tanto negli ultimi tempi, ognuno ha molto da criticare all'altro e ciò che un tempo amavano è diventato ora un ostacolo insormontabile. Antonio, che pur avendo preso la decisione, non per questo non soffre per la mancanza della sua ex compagna, è diventato profondamente insofferente anche a quello che sembra essere il miglior pregio di Marta, che non sa fingere di fronte a qualcosa che non le piace o a una situazione che la mette a disagio. Non a caso questo è ciò che più ammira di lei anche un suo collega di scuola, il professor Agostini (Francesco Carril), quando la vede evitare cene coi colleghi senza alcuna difficoltà, "solo" perché una serie di persone non le piace.
Questa grande autodeterminazione in alcuni certi aspetti della vita, però, non le evita di sentirsi crollare il mondo addosso per la fine della sua relazione e, solo quando scoprirà di avere un tumore incurabile, si renderà conto di quanto valga la pena vivere la propria vita fino in fondo, consapevole che "la maggior parte delle cose nella vita, compresa la vita, non hanno un vero perché".
Tanti i momenti in cui la sceneggiatura prende il sopravvento e scandaglia i personaggi in profondità. Marta in primis, che, per esempio, anche con sua sorella, Elisa (Silvia D'Amico), dimostra tutta la propria frontalità. Quando le due si ritrovano a parlare per la prima volta della fine della storia di Antonio e Marta, questa, di fronte all'egocentrismo della sua interlocutrice, esplode con un durissimo: "non è colpa mia se è andato tutto male e fai l'affittacamere e non l'attrice". Elisa, inoltre, fa pensieri troppo binari per la sorella, e ipotizza subito che Antonio abbia già un'altra frequentazione, infastidendola ancora di più infarcendo i suoi discorsi con continui anglicismi poco necessari (local, call back, slow, ecc.).
Marta, coltivando la propria solitudine, una sera si porta a casa il cartonato di un cantante pop coreano, Jirko, che diventa una sorta di amico immaginario. A lui racconta anche la sua idea di Roma, che si chiude con un bella immagine (montata anche nel film), poetica e ansiogena al tempo stesso, decadente e orwelliana, di "madonne che ti guardano ovunque", inteso di madonnelle dai crocevia sui palazzi.
Coixet dà grande peso ai simboli e all'importanza che tutti diamo ai luoghi e agli oggetti che hanno fatto parte di una relazione e, quando questa finisce, li trasforma immediatamente da pensieri gioiosi ad angoscianti.
Le tre ciotole del titolo, per esempio, sono uno dei segni dell'insofferenza di Antonio nei confronti di Marta: la sera in cui inizia la vicenda raccontata dal film, la donna le prende al supermercato con i punti accumulati, mentre il compagno continua a borbottare su tutto. Saranno gli ultimi oggetti della loro relazione e significativamente Marta inizierà a usarli solo tempo dopo, quando supererà il trauma della separazione.
L'ansia e il pensiero ossessivo di Marta, nei primi giorni dopo la rottura, sono simboleggiati perfettamente dalla goccia del rubinetto che perde in casa. E sono gli stessi giorni in cui, in una sorta di vendetta insensata, lascia pessime recensioni sul ristorante di Antonio, il Senzafine, su un'app, Io Gourmet.
Silvia (Galatea Bellugi), una ragazza che lavora nel ristorante, si avvicina molto ad Antonio, ma non come si aspetterebbe il socio di questo, Claudio (Lorenzo Terenzi), con il consueto e banale pensiero del chiodo scacciachiodo, segno di una mentalità e di un'idea in fondo non troppo lontana da quella della sorella di Marta. C'è sicuramente una simpatia tra i due, ma Antonio ha ancora la testa alla sua storia finita da poco e ha bisogno soprattutto di un'amica che lo ascolti in questo momento, un'amica che peraltro ha una relazione con una donna. E Silvia, con tutta la sua sensibilità femminile, invita Antonio a riappropriarsi della città, poiché dopo sette anni sono tanti i luoghi che gli ricordano Marta e che sta cercando di evitare.
E così un montaggio ci mostra diversi luoghi della città, quelli in cui Silvia lo accompagna, con la pianta di Roma in mano per segnarli tutti accuratamente al grido "ti devi riprendere la città": dal locale di Trastevere in cui Antonio e Marta si sono conosciuti (l'immaginario "L'antico supplì", che sembra occhieggiare ad uno reale, col nome diverso su via di San Francesco a Ripa) al Biondo Tevere, il ristorante su via Ostiense che fu anche l'ultima tappa di Pasolini con Pino Pelosi prima di essere assassinato, ma anche location di una famosa sequenza di Bellissima di Luchino Visconti (1950); dal Museo della Centrale Montemartini, sulla stessa via Ostiense, alla fontana del Mascherone di via Giulia, dall'antica Antica Libreria Cascianelli in Largo Febo, a un passo da piazza Navona, al Ponte Rotto.
Tra gli altri luoghi della città, vediamo Testaccio, il Gazometro a Ostiense, e la scuola, forse a S. Croce in Gerusalemme, dove Marta, in palestra, scaglia a terra con rabbia una serie di palloni da pallavolo, in un momento decisamente morettiano, l'ospedale Fatebenefratelli sull'isola Tiberina e soprattutto l'appartamento, su viale Trastevere, di fronte a Piazza Mastai. Non a caso, in quella zona di Trastevere, Marta passa in bicicletta davanti all'antico ospedale di San Gallicano e, proprio lì dietro, all'incrocio tra via Merry del Val e via di San Francesco a Ripa, incontra Silvia con cui si intrattiene a parlare e a cui confida, molto umanamente, "mi manca qualcuno che mi stringa la notte [..] mi manca il calore di un corpo", che ormai è già qualcosa di diverso. E sempre a Trastevere, in bicicletta, non può mancare il passaggio davanti al Nuovo Sacher e, un attimo prima, sull'ampia piattaforma del Porto di Ripa Grande di fronte al San Michele, dove i cinefili ricordano passeggiare Totò e Anna Magnani alla fine di Risate di gioia (Monicelli 1960).
Sempre su largo Ascianghi, di fronte al cinema di Nanni Moretti, nel dirimpettaio edificio dell'ex Casa della Gioventù Italiana del Littorio di Trastevere, opera di Luigi Moretti, i personaggi si ritrovano all'inaugurazione di una mostra di arte contemporanea. 
Un'analisi a parte merita il bel rapporto che si instaura tra Marta e la sua gastroenterologa (Sarita Choudhury), che oltre a ricordarle che "lo stomaco è il nostro secondo cervello" e che quindi tutte le emozioni passano anche da là, modificando le nostre abitudini alimentari. Ed è sempre la donna che, con grande empatia, la mette a suo agio raccontandole che, come tutti, anche lei ha vissuto distacchi sentimentali molto difficili, e che quasi mai ci si lascia in pieno accordo, motivo per cui ricorda che aveva iniziato a stare meglio solo "quando l'ho lasciato anche io". Cosa che puntualmente accadrà anche a Marta.
Quelle domande ossessive dei primi giorni di sofferenza, "dov'è finito tutto quell'amore, dove sono finiti tutti quei momenti?", troveranno risposta nella consapevolezza del superamento di una storia d'amore, una sensazione "terribile ma bella" dice Marta, in un abbraccio sulla banchina del Tevere, all'altezza dell'Isola Tiberina, che è già l'immagine più iconica del film.
È la gioia nel dolore narrata da Michela Murgia, una malinconica serenità a cui si adatta perfettamente la Sant'Allegria cantata da Ornella Vanoni e Mamhood nel brano portante della colonna sonora, che al suo interno ha anche pezzi che celebrano la separazione, come Ti ricorderai di Luigi Tenco e I Get Along Without You Very Well (Except Sometimes) di Nina Simone.
C'è poi un'altra immagine poetica e artistica al tempo stesso, che è invece un'elegia amorosa dei tempi migliori di una relazione e che non ha bisogno di parole, perché è tutta nella consonanza figurale tra un antico busto femminile e Marta che alza i capelli nello stesso modo sotto gli occhi attenti e innamorati di Antonio. 

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