giovedì 11 luglio 2024

Inside Out 2 (Mann 2024)

La Pixar torna nella mente di Riley con le sue emozioni in evoluzione, e stavolta Pete Docter, che nel 2015 era ideatore del soggetto e regista insieme a Ronnie del Carmen, passa ad essere il produttore esecutivo, mentre la regia va a Kelsey Mann. Il risultato non cambia, perché Inside Out 2, pur non potendo avere l'effetto sorprendente della prima pellicola (Inside Out, 2015), è un ottimo film d'animazione che elettrizza i bambini e fa ridere, senza mai smettere di farli riflettere, gli adulti.
Resta la straordinaria torre di controllo del cervello della giovanissima Riley - idea ripresa dal Woody Allen di Tutto quello che avreste sapere sul sesso ma non avete mai osato chiedere (1972) -, ma ora quella che era una bambina è diventata un'adolescente e le "vecchie" emozioni, tutte presenti, Gioia, Tristezza, Paura, Disgusto e Rabbia, vengono letteralmente soppiantate dalle nuove (trailer).
La più travolgente, che ruba la scena persino a Gioia, è una prorompente e distruttiva Ansia, occhi grandi, bocca larghissima disseminata di denti ben distanziati e un ciuffo di capelli a cui, ovviamente, non si può dar regola, affiancata (per quanto sia possibile affiancarla) da Invidia, piccola, azzurra e con due occhi enormi; Imbarazzo, un ragazzone timido e silenzioso, che si chiude arrossendo continuamente nella felpa; Noia, in realtà Ennui, concetto filosofico tardo ottocentesco e che, non a caso, è un ragazzo blu(e) (come Tristezza), indolente, svogliato e dalla battuta sarcastica.
Invidia e Noia (Ennui)
Oltre a loro, poi, saltuariamente compare, sbucando da una porta sul retro, anche una tenerissima Nostalgia, una vecchietta dai capelli cotonati, stile Nonna di Looney Tunes, con gli occhiali e con una tazza di tè in mano, che tutti mandano via perché rischia di peggiorare situazioni già difficili.
I colori, come nel primo film, sono determinanti e caratterizzano l'intera figura di quasi tutti questi personaggi, non solo i loro abiti. Il procedimento è prettamente iconografico ed è una convenzione che spiega in maniera visiva, e quindi immediata, che in realtà non si tratta di persone reali, ma solo di allegorie, personificazioni di idee, in questo caso di emozioni.
Le Virtù tricolori (Oxford, Bod. Library, ms.
Holkham misc. 48, p. 107) e le emozioni
Per comprenderlo basta confrontare questi personaggi con i loro omologhi del passato, quando invece dei sentimenti l'ideale da perseguire erano le Virtù cristiane. Il meccanismo non cambia e, ad esempio, in una bella miniatura che illustra Purgatorio XXX della Divina Commedia e la visione di Dante nell'Eden, dove le Virtù teologali sono completamente colorate di verde (Speranza), bianco (Fede) e rosso (Carità) - e la bandiera italiana deve a loro i suoi colori -, proprio come le emozioni di Inside Out.
Soggetto e sceneggiatura, stavolta firmata dalla sola Meg LeFauve, scelgono di incentrare il racconto nella vita sportiva di Riley: la ragazza continua a giocare a hockey su ghiaccio, uno sport di squadra che, come tale, risulta fondamentale per la crescita sociale di ogni individuo e quindi anche della protagonista, che in quel contesto coltiva amicizie, sogni, ma patisce anche pressioni e frustrazioni determinate dall'obiettivo personale e comune da raggiungere.
Il lessico sportivo viene sfruttato anche nella "torre di controllo", dove le emozioni vengono presentate da Gioia come se fosse una presentatrice televisiva di una partita e, in un divertente montaggio alternato che amplifica questa sensazione, lo fa mentre Riley e le sue compagne entrano in campo.
Ora nella regia cerebrale della ragazza c'è anche una sorta di alberello luminoso, che sembra fatto di terminazioni nervose, che scopriamo essere la parte sommitale delle convinzioni, una selva di lunghe corde tese e colorate (azzurre se positive, rosse se negative), che vibrano se pizzicate, come quelle di uno strumento musicale, e che originano da momenti importanti della vita di Riley che, come i ricordi del primo episodio, sono contenuti in sfere.
Quell'alberello è il Senso di sé, quello da cui dipendono l'autopercezione, la fiducia in se stessi e il grado di autostima, un elemento che è in evoluzione e suscettibile di continue modifiche a seconda delle esperienze fatte.
All'arrivo delle nuove emozioni, la plancia della torre di controllo verrà sostituita da operai non troppo attenti a rispettare il luogo (ormoni?) - anche quelli erano in Woody Allen (vedi) -, montandone una nuova molto più complicata e con molti più pulsanti. L'adolescenza fa suonare l'allarme pubertà, porta i primi brufoli sul volto di Riley, che si vede brutta, non ama il proprio odore e non sa come comportarsi con le vecchie e con le nuove amicizie. Essere scelta insieme a due amiche e compagne di squadra per un campus di hockey con le ragazze più grandi genera l'inevitabile corto circuito in Riley, che fa di tutto per piacere a quelle che reputa atlete affermate - soprattutto alla star della squadra, Val Ortiz, che cerca di emulare in tutti i modi - anche a costo di disconoscere le sue vecchie amiche.
Ansia, che nel migliore dei casi protegge dalle insidie invisibili, ma nei fatti rischia di paralizzare la povera Riley, costringe nel "caveau dei segreti" le vecchie emozioni, che dichiarano chiaramente "siamo emozioni represse!" Qui, peraltro, non c'è solo l'Oscuro Segreto, una sorta di yeti che tanto ricorda il James Sullivan di Monsters & co. - altra creatura di Pete Docter -, ma anche i divertenti personaggi della sua infanzia, tratti da cartoni animati (Bloofy e Pouchy) o dai videogiochi (l'amato eroe Lance Slashblade). Nel viaggio che le vecchie emozioni intraprendono per tornare indietro, il film si trasforma in un road movie e tra le invenzioni più azzeccate di questo episodio c'è sicuramente il "flusso di coscienza", un fiume azzurro (in cui galleggiano anche i cibi), che può aprirsi in cascate che fanno gridare al "sarcasmo carsico".
Nostalgia, Bloofy, Pouchy,
Lance Slashblade, 
Segreto Oscuro 
E lungo il percorso c'è modo anche di citare un monumento naturalistico americano, il Monte Rushmore, che per l'occasione diventa il Monte Crushmore, con i volti degli uomini di cui si innamora Riley nelle sue cotte adolescenziali.
Ansia assume sempre più il ruolo di antagonista di Gioia e complica la vita di Riley, arrivando persino a tenere corsi a distanza e su grande schermo (i lockdown hanno reso immediatamente comprensibili queste dimensioni didattiche), in cui i suoi allievi disegnano proiezioni ansiogene per la mente della ragazza. Come conseguenza, le idee negative che la protagonista deve affrontare e che, come nel primo film, hanno la forma di lampadine, ma che ora volano all'impazzata in una tempesta vera e propria. A tutto questo bisogna ribellarsi e insorgere, in una sorta di rivoluzione che possa tornare a dare serenità a Riley, ovviamente capitanata da Gioia e Rabbia, con l'aiuto spionistico di Tristezza che trova in Imbarazzo un valido alleato.
La crescita passa per questi conflitti e, ad ogni età, superare la burrasca della propria coscienza è un percorso di comprensione di sé che in fondo rasserena, in modo da far idealmente abbracciare tutte le emozioni, ansia e gioia comprese e, poco male, se qualche segreto resta nel caveau (mi raccomando, non vi alzate prima della fine dei titoli di coda!)
Chissà se nei prossimi anni accompagneremo Riley Anderson anche nell'età adulta. Di certo di motivi e situazioni su cui ironizzare con acume e intelligenza non mancherebbero e poi, a un certo punto, si potrebbe davvero citare l'esilarante episodio alleniano di Tutto quello che avreste sapere sul sesso ma non avete mai osato chiedere... ma questo, lo ammetto, è un sogno per cinefili!

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