Torino, fine Ottocento. Alcuni operai della fabbrica tessile Buratti Pavesio non tollerano gli orari massacranti imposti dalla proprietà, che li costringe a stare 14 ore al giorno davanti alle macchine, con una pausa di mezz'ora.
L'infortunio di un collega in servizio darà inizio alle proteste, dapprima minime e poi, grazie anche all'intervento di un professore di liceo che "quelle cose le ha studiate", arriveranno ad lungo sciopero e al braccio di ferro con i padroni... (guarda il film).
Mario Monicelli scrisse il film con Age e Scarpelli e la sceneggiatura originale fu persino candidata all'Oscar, ma la pellicola non fu amata in Italia, dove lo sconfinamento politico del regista di Viareggio fece storcere più di qualche naso.
Eppure Monicelli non fece altro che riproporre quanto fatto con il ben più famoso La grande guerra (1959), affrontando una tematica profondamente seria con i toni scanzonati della commedia all'italiana, riuscendo però a non perdere di incisività e a non rinunciare ai messaggi sociali e politici.
Cast di ottimo livello: tra gli operai compaiono Renato Salvatori (Raoul), con uno straniante doppiaggio da parte di Walter Chiari (è un po' l'effetto che fa Mastroianni doppiato da Sordi in Domenica d'agosto - Emmer 1949); Bernard Blier (Martinetti), Folco Lulli (Pautasso), mentre il professore che arriva da fuori, Giuseppe Sinigaglia, è Marcello Mastroianni, un intellettuale squattrinato e impegnato che tornerà pressoché identico, soprattutto iconograficamente, nel personaggio di Satta Flores di C'eravamo tanto amati (Scola 1974; forse non un caso che alla sceneggiatura partecipò anche in quel caso il duo Age-Scarpelli).
Tra le attrici, invece, oltre ad un piccolo ruolo per la giovanissima Raffaella Carrà (Bianca, sorella del giovane operaio Omero), spicca Annie Girardot, nei panni figlia di un operaio, Niobe, che ha scelto di diventare una prostituta di alto bordo, una parte non da protagonista, ma dal valore simbolico decisamente rilevante: emanciparsi dalla classe sociale più bassa è possibile solo a certe condizioni. Proprio il professor Sinigaglia, infatti, che fatalmente se ne innamora, alla domanda sul suo impegno politico le risponderà "vorrei che un giorno una ragazza come lei non fosse costretta a fare come ha fatto lei"...
Se Sinigaglia è considerato un sovversivo per le sue idee che lo hanno portato alla completa solitudine ("io non ho nessuno che mi cerca tranne la questura"), il suo collega, il maestro Di Meo (François Perier) non gli è da meno, e viene trasferito a Frosinone dopo le accuse di propaganda socialista per aver attivato una colletta tra i ragazzi della scuola per aiutare la famiglia di un operaio morto. Una curiosità sulla sequenza della scuola che, almeno all'esterno, è ambientata nella via romana della Madonna dell'Orto a Trastevere, dove sin dal 1888 c'è l'istituto Regina Margherita, una location sfruttata spesso in diversi film (es. L'uccello dalle piume di cristallo - Argento 1970, ma anche i meno interessanti Gianburrasca - Pingitore 1982, Pierino torna a scuola - Laurenti 1990).
Il 'Regina Margherita' nel film e oggi |
Tornando alla sceneggiatura, oltre alla splendida battuta recitata da Mastroianni, sono molte altre quelle che restano in mente di un film che è soprattutto un film scritto (tra i movimenti della mdp si segnalano solo un paio di carrelli in avanti da slapstick quando Raoul prova a guardare le gambe di una collega). La protesta, per esempio, inizia con la volontà di fare "come fanno gli inglesi", per antonomasia quelli che facevano rispettare i propri diritti lavorativi. E proprio questi ultimi, così poco considerati dagli stessi operai, vengono confusi con i doveri, come capita ad una lavoratrice durante una riunione.
Allo stesso tempo la difficoltà di manifestare e di rimanere compatti viene riassunta da frasi come "le parole non fanno polenta" o, in uno sfogo da parte di Pautasso, silenzioso ma generoso con tutti, pur se non sempre ricambiato, "uniti come le balle".
Sono proprio le parole di Sinigaglia, però, che hanno la capacità di compattare anche i meno convinti, ma che non riescono a far breccia sul collega siciliano, chiamato Mustafà, o persino "negher", che vive in una baracca con tanti figli, il quale pur se d'accordo non può permettersi di scioperare come gli altri, perché c'è sempre qualcuno "più ultimo", e a lui nessuno fa credito e senza lavoro non potrebbe sostenere se stesso né la sua numerosa famiglia. La sequenza in cui Mustafà va a chiedere "il permesso" al comitato operaio per poter entrare in fabbrica il giorno dopo è girata con un tocco magistrale tipico del miglior Monicelli: una richiesta surreale che si chiude in maniera disarmante, con i colleghi che, una volta vista la stamberga in cui vive con la sua famiglia, rinunciano ad ogni intento bellicoso.
La guerra fra poveri è sempre dietro l'angolo e lo dimostrano lo scontro tra gli scioperanti e i disoccupati di Saluzzo fatti chiamare dal padrone per sostituire la forza-lavoro, e in maniera più comica il dialogo tra Omero, tra i più giovani operai della fabbrica, e proprio una delle figlie di Mustafa: il primo dice che "il Piemonte va male da quando siete arrivati voi siciliani" e la bimba risponde "mio papà dice che è la Sicilia che va male da quando siete arrivati voialtri piemontesi".
Sul mondo dei padroni Monicelli non si sofferma molto, ma i toni sono feroci e taglienti come sempre: basti pensare alla terribile gerarchia che parte dal basso, con il dipendente che fa da tramite tra la proprietà e gli operai, su cui "comanda" l'ingegnere che più avanti, però, scopriamo essere un semplice "mangia e dormi", come lo chiama lo zio, il vero proprietario della fabbrica, un vecchio bisbetico su una sedia a rotelle che reputa il nipote privo di carattere e di capacità per gestire l'attività...
Il contrasto tra la ricchezza e la povertà, infine, è sottolineato anche nella poetica sequenza di approccio di Giuseppe con Niobe, in cui il professore, entrato nel ristorante in cui è la donna, tira fuori il suo clarino e inizia a suonare il Don Giovanni di Mozart...
Una pellicola che sembra lontana anni luce dai giorni nostri, ma che in fondo non lo è così tanto. C'è molto di quello che tutti coloro che lavorano in luoghi con tanti dipendenti vivono ancora oggi: bisogno di compattezza, bassezze tra colleghi, guerre fra poveri, ecc. I risultati ottenuti sui diritti da un secolo a questa parte sono tantissimi, è evidente, ma lo sfruttamento di chi lavora si è semplicemente spostato su fette di società più in difficoltà... le morti sul lavoro sono di meno, ma quanti sono i casi di infortuni di extracomunitari che lavorano in condizioni disastrose nelle coltivazioni del nostro paese e che spesso, per non correre il rischio di perdere l'impiego, non denunciano nemmeno i datori di lavoro.
A ben guardare il film di Monicelli è quantomai attuale!
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