Basterebbero questi pochi secondi a giustificare il prezzo del biglietto, non c'è dubbio, ma Julieta non è solo tecnica, che pure c'è ed è un piacere ammirarla, ma molto di più!
Truffaut scriveva che "le gambe delle donne sono dei compassi che misurano il globo terrestre in tutti i sensi donandogli il suo equilibrio e la sua armonia" (L'uomo che amava le donne, 1977), ma nel cinema di Almodovar, in cui le donne sono assolute protagoniste, questo equilibrio e questa armonia sono sconquassati continuamente dal caso e dagli eventi e quelle gambe non sono mai così stabili, proprio come quelle di Julieta mentre scrive la lettera.
Morte, amore e sensi di colpa sono i veri motori dell'ultimo film del regista spagnolo e determinano la trama di un melodramma, o bisognerebbe dire tragedia, che però, a differenza di quelle classiche, ha sempre una via d'uscita. Sofocle o Euripide (scegliete voi, se preferite Antigone o Medea, quale sia il tragediografo più "al femminile") incontrano Alfred Hitchcock... questo è sicuro, del grande regista inglese si respira parecchio per tutta la durata della pellicola!
La storia è un adattamento di tre racconti della scrittrice canadese Alice Munro, Fatalità, Fra Poco, Silenzio, che, pur non essendo consecutivi, hanno come protagonista Juliet. Almodovar, peraltro, aveva mostrato la stessa raccolta di racconti - In Fuga - durante La Pelle Che Abito, quando una copia del libro compariva sul vassoio che la carceriera Marilia (Marisa Paredes) preparava alla prigioniera Vera (Elena Anaya).
Julieta è una donna di mezza età che vive a Madrid, dove ha una relazione con Lorenzo, con cui sta per trasferirsi in Portogallo. Non vede sua figlia Antìa da dodici anni e, proprio quando sembra essersi affrancata da questo dolore, un incontro casuale con Beatriz, amica d'infanzia di Antìa, le farà cambiare idea e la proietterà nel passato...
Questa premessa dà il via ad un flashback che costituisce l'ossatura del film e che utilizza come escamotage narrativo una lunga lettera che Julieta inizia a scrivere a sua figlia e grazie alla quale ripercorre - e noi con lei - gli anni passati, a partire dal 1985, dall'incontro con Xoan alla loro vita familiare a Redes, piccolo villaggio di pescatori in Galizia, dalla nascita della stessa Antìa alla scomparsa dello stesso Xoan, dal trasferimento a Madrid all'allontanamento di Antìa dalla madre, fino alla vita attuale di Julieta...
La struttura del film, basato sulla narrazione analettica di Julieta, non è certo una novità, così come non lo è la cornice rappresentata dal tempo presente, che apre e chiude il film, ma decisamente inconsueta, per esempio, è l'idea del flashback nel flashback a cui assistiamo quando Julieta va a trovare Ava, l'amica più vicina di Xoan, e quest'ultima le racconta cosa accadde quando andò con Antìa a vendere la casa di Redes, il tutto raccontato non solo a parole, ma anche per immagini.
Adriana Ugarte e Emma Suárez si dividono l'interpretazione di Julieta e lo fanno entrambe in maniera splendida: giovane, sensuale, sicuro di sé e pieno voglia di vivere il personaggio incarnato dalla prima; spento, malinconico, ma comunque forte e pronto a riprendersi la propria vita quello della seconda. Bellissimo il modo con cui Almodovar fa avvicendare le due attrici, sfruttando una scena in cui Julieta si fa asciugare i capelli da Antìa, usando l'asciugamano come sipario e come passaggio delle due età della protagonista.
Esteticamente il film è bellissimo e sarebbero decine i momenti da ricordare in cui la regia e la fotografia, firmata da Jean-Claude Larrieu, rubano l'occhio. Qui basti ricordare la sequenza in cui Julieta e Xoan iniziano ad avvicinarsi fisicamente in treno, ripresi lentamente da un'inquadratura dall'alto dopo la quale, progressivamente, la mdp si avvicina ai loro volti fino al contatto delle labbra, per giungere così alla successiva scena di sesso in cui vediamo ciò che accade nel riflesso del finestrino dello scompartimento.
Una delle immagini più belle del film, però, al pari di quella con cui si è aperta questa recensione, è l'inquadratura di una finestra che dà sul mare durante una tempesta, che si trasforma in un trittico degno di William Turner.
Almodovar, inoltre, usa l'arte e la storia dell'arte anche per inserire dettagli significanti. All'inizio del film Julieta rovista tra le carte e i libri di Lorenzo e tra questi vediamo una cartolina con il dettaglio di un'opera di Antonello da Messina (il Cristo alla colonna del Louvre?), un'immagine di grande sofferenza. Julieta indossa una vestaglia da Secessione viennese, e in quei panni rimanda immediatamente alle tante donne dipinte da Klimt, simboli assoluti della femminilità del Novecento. Ava (omaggio ad Ava Gardner?) fa la scultrice e le sue statue di bronzo ricoperte di terracotta, pesanti e stabili, simboleggiano la durezza della gente di Redes, persone dure, rigide, che non cedono ai soffi del vento (si tratta dell'Uomo seduto di Miquel Navarro, opera cara al regista). In un altro caso, però, il legame con la trama del film è forse ancora più forte: dietro il divano della casa di Redes e poi nell'appartamento di Madrid, campeggia un grande dipinto con Il ratto di Proserpina...
Una delle immagini più belle del film, però, al pari di quella con cui si è aperta questa recensione, è l'inquadratura di una finestra che dà sul mare durante una tempesta, che si trasforma in un trittico degno di William Turner.
Almodovar, inoltre, usa l'arte e la storia dell'arte anche per inserire dettagli significanti. All'inizio del film Julieta rovista tra le carte e i libri di Lorenzo e tra questi vediamo una cartolina con il dettaglio di un'opera di Antonello da Messina (il Cristo alla colonna del Louvre?), un'immagine di grande sofferenza. Julieta indossa una vestaglia da Secessione viennese, e in quei panni rimanda immediatamente alle tante donne dipinte da Klimt, simboli assoluti della femminilità del Novecento. Ava (omaggio ad Ava Gardner?) fa la scultrice e le sue statue di bronzo ricoperte di terracotta, pesanti e stabili, simboleggiano la durezza della gente di Redes, persone dure, rigide, che non cedono ai soffi del vento (si tratta dell'Uomo seduto di Miquel Navarro, opera cara al regista). In un altro caso, però, il legame con la trama del film è forse ancora più forte: dietro il divano della casa di Redes e poi nell'appartamento di Madrid, campeggia un grande dipinto con Il ratto di Proserpina...
La tela può essere letta come una delle chiavi della storia: così come il mito di Proserpina, rapita da Plutone, è uno delle massime allegorie che uniscono amore e morte, non si può fare a meno di notare che per tutto il film la morte è segno di rigenerazione e, solo grazie ad essa, possono iniziare nuovi amori, amicizie, relazioni....
È così quando Julieta conosce Xoan sul treno, con i due che si avvicinano fisicamente e fanno l'amore solo dopo il suicidio di un uomo (viene in mente François Truffaut e la splendida riflessione di Baci rubati - 1968, secondo la quale "Dopo la morte fare l'amore è una specie di compensazione, serve a sentirsi vivi"); sarà la morte della moglie di Xoan, in coma da anni, a rendere libera la loro storia (lo stesso avverrà per il padre di Julieta che, dopo la morte della moglie malata da tempo, sarà libero di sposare la sua badante e continuare a vivere felice e con una nuova famiglia nella sua casa andalusa); la morte di Xoan darà il via all'amicizia di Julieta con Claudia, al suo trasferimento a Madrid, al legame di Antìa con Beatriz, che diventeranno amiche inseparabili e non solo; la morte di Ava, darà l'avvio alla relazione tra Julieta e Lorenzo; la scomparsa di un nipote, infine, sarà l'unico modo per Julieta di tornare ad avere un contatto con Antìa, che solo dopo il dolore patito per la perdita di un figlio capirà il dramma vissuto dalla madre.
Nella pellicola, inoltre, come sempre in Almodovar, compaiono anche altri elementi simbolici oltre quelli artistici.
Il più immediato è naturalmente il treno. Lo stesso regista ha dichiarato di essere particolarmente affascinato dal mezzo di trasporto che più di ogni altro fa parte dell'iconografia del cinema, usato dai Lumière in poi in ogni genere di pellicola. Il suo pensiero va soprattutto ai capolavori di Hitchcock in cui il treno è protagonista (La signora scompare, 1938; L'altro uomo, 1951; Intrigo internazionale, 1959), e al bellissimo La Bestia Umana di Fritz Lang (1954), e non è quindi un caso che proprio su un treno inizi la storia tra Julieta e Xoan.
Il colore rosso è spesso dominante: è rosso il grande tessuto con cui inizia il film, così come è rossa una grande parete della casa di Julieta all'inizio del film; è di un rosso bordeaux molto cupo la vestaglia che Julieta indossa quando soggiorna a casa di Claudia, in quel periodo che Julieta stessa sintetizza come quello in cui "le cose accadevano senza che io ne prendessi parte"; sono rosse un paio di automobili usate dalle protagoniste; rossa è la torta per i 19 anni di Antìa; rosso è il biglietto di auguri che Julieta poi tiene sulla scrivania; rosso è il tatuaggio di Xoan, esso stesso un simbolo (kitsch ma pur sempre un simbolo) dei suoi amori, un cuore con le iniziali di Antìa (o di Ava?) e di Julieta separate da una barca. In diversi momenti sia Julieta sia Antìa mangiano il più simbolico dei frutti, una mela rossa: il peccato ed il senso di colpa di matrice cristiana è tutto in queste immagini. Julieta scrive alla figlia di aver vissuto sempre con il senso di colpa, persino la sua storia con Xoan, come detto, è iniziata dopo la morte di un uomo, e lei non ha mai dimenticato quel volto, ma la sua speranza era che non si sarebbe trasferito su di lei. E invece, come in una tragedia greca, le colpe vengono ereditate dai figli e Antìa si sente responsabile della morte del padre, sopraggiunta proprio quando lei parte per le vacanze.
Per inciso, ma naturalmente non lo è, Julieta insegna filologia greca e l'unica volta che la vediamo impegnata in una lezione sta spiegando le differenze delle parole che in greco antico designano il mare, altro enorme simbolo letterario e psicologico: il mare come viaggio, come avventura, e non a caso cita agli studenti il viaggio di Ulisse, in cui naturalmente si rispecchia il naufragio di Xoan, e l'incontro con Calipso, che descrive come una Kim Basinger o, meglio, un'Angela Molina dei loro tempi.
Altri elementi da tragedia classica? Ovviamente il corifeo, impersonato da una straordinaria Rossy de Palma, attrice almodovariana per eccellenza, che interpreta Marian, l'insopportabile governante della casa di Redes (come non pensare a Judith Anderson, la sua omologa in Rebecca - La prima moglie, che portava all'esasperazione Joan Fontaine nel capolavoro hitchcockiano del 1940?), che non solo mette bocca su tutto, ma lancia veri e propri anatemi con cui Julieta dovrà fare per sempre i conti.
Il finale aperto degli Gli uccelli di Hitchcock sembra essere di nuovo sullo schermo: Lorenzo e Julieta partono per raggiungere la casa di Antìa, ma chissà cos'altro potrà succedere...
Almodovar auspica che tutti gli spettatori guardino almeno una seconda volta il film, poiché "le persone non si conoscono, nè si apprezza la loro compagnia, al primo incontro. Con Julieta succede la stessa cosa". E allora seguite il consiglio, se non lo avete visto fatelo, se già lo avete fatto guardatelo e riguardatelo!
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