venerdì 4 ottobre 2024

Il tempo che ci vuole (Comencini 2024)

Poter rendere orgoglioso il proprio padre di quanto si sta facendo nella vita... è questo che differenzia le esperienze di Luigi e Francesca Comencini, come sottolinea il primo, nei cui panni recita il solito, enorme Fabrizio Gifuni, alla figlia, intrepretata da una bravissima Romana Maggiora Vergano, rammaricandosi di non aver potuto farlo con il suo, come lei invece ha fatto con lui.
Dopo Chiara Mastroianni, che in Marcello mio (Honoré 2024) omaggiava il padre persino interpretandolo, con altri toni Francesca Comencini celebra suo padre, raccontando il loro rapporto sin dalla sua infanzia, nella seconda metà degli anni '60, passando per una complicata adolescenza negli anni di piombo, fino alla maturità e alla scelta di fare cinema, proprio come lui (trailer). 
Una relazione basata sulla fiducia, se possibile anche quando viene mortificata da bugie evidenti, e che poi bisogna recuperare (o meritarsi di nuovo) per arrivare a quell'orgoglio paterno e a quell'amore filiale che sono il vero centro di questa pellicola. Di fatto, Il tempo che ci vuole è un diario intimo che nemmeno in casa - una casa altoborghese dal lungo corridoio in cui accade tutto, stile La famiglia (Scola 1987) -,  non prevede nessun altro personaggio della famiglia
Comencini, né la madre, né tantomeno le sorelle di Francesca, ma solo lei e suo padre.
Quando Luigi gira Le avventure di Pinocchio (1972), Francesca, nata nel 1961, non ha nemmeno dieci anni (qui è Anna Mangiocavallo), ma la sua ricostruzione del set è da brividi. Lei che gioca col piccolo Andrea Balestri e Domenico Santoro, Pinocchio e Lucignolo nel film; che fa la comparsa sul carro che va al Paese dei balocchi; che osserva da lontano il Gatto e la Volpe (Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, qui giustamente interpretati da attori che parlano con una forte caratterizzazione siciliana).
Il tendone di Goliath a piazza del Popolo
Quegli anni, avvolti nei ricordi di una Roma nostalgicamente incantata per la regista, sono caratterizzati proprio dalla fiaba di Collodi: la piccola Francesca sceglie Lucignolo come personaggio preferito della storia, ha paura delle illustrazioni di un vecchio libro quando si apre sulla pagina del pescecane, va con il padre a vedere una grande balena in un tendone da circo in piena piazza del Popolo, ma una volta arrivata rinuncia. Tutto vero, seppur sognante, perché nel gennaio del 1970 a Roma arrivò davvero, e fu esposta così, la balena Goliath uccisa al largo dei mari del nord, in Norvegia (vedi). Proprio nella piazza romana, così come riaccadrà più avanti con piazza Navona, la mdp si alza fino a mostrare tutto dal cielo, per poi sfumare in una resa a pastelli colorati, da storyboard
La parte che rievoca il lavoro sul set di Pinocchio è decisamente commovente e Luigi Comencini, con l'immancabile scoppola in testa, spicca come un eroe d'altri tempi: riprende la figlia che entra involontariamente in campo con un garbo senza pari, e poi il collaboratore Cesare - che intima alle donne affacciate dalle vecchie case del paese toscano in cui stanno girando di chiudere le finestre -, al quale ricorda che sono loro a essere gli ospiti e non viceversa e che prima viene la vita, poi il cinema. Il regista ripete che vuole "freddo e povertà", ciò che traspare nel racconto originale, e anche la sequenza in cui la troupe dei tecnici deve fare attenzione a non perdere la "luce a cavallo", durante il bellissimo tramonto sulla campagna toscana, è davvero poetica.
L'indimenticabile burattino del film arriva anche a casa Comencini ed è grande la sorpresa di Francesca quando lo vede camminare senza che i piedi tocchino terra, in una delle tante magie del cinema, che evidentemente la affascina.
Della fiaba di Collodi, tra l'altro, qua e là nel montaggio vengono inseriti anche brani dell'adattamento di Giulio Antamoro (Pinocchio, 1911): nel film si vede il momento in cui Pinocchio scopre di avere le orecchie d'asino, forse anche con un intento di simbolismo moraleggiante e autobiografico.
La bambina diventa una ragazza in quegli anni, segnati dai telegiornali in casa che parlano della strage di piazza Fontana, delle bombe a Roma alla BNL a San Basilio, a piazza Venezia e al Vittoriano (12 dicembre 1969), il dirigente Idalgo Maccarini picchiato appena fuori dalla Siemens (1972), fino al rapimento Moro, nonché poi il giorno di via Caetani. Luigi commenta incredulo "questi sono pazzi", davanti al televisore, come tanti allora. Francesca invece è silenziosa e fragile, convinta di non aver nessun talento, e, complice un fidanzato che muore suicida, arriva a vivere la tossicodipendenza da cui esce soprattutto grazie al padre, che le starà vicino il più possibile, fino a portarla a Parigi con lui per mesi.
Luigi in Francia ci ha trascorso l'infanzia (ad Agen, in Aquitania), con la famiglia emigrata da Salò, e per lui la Ville Lumière è qualcosa di più di una capitale europea. Qui i racconti che fa alla figlia, affacciati di sera su uno dei ponti della Senna, sono pieni di romanticismo e cinefilia insieme, con il bellissimo ricordo di bambino folgorato dalla sala, a vedere L'Atlantide di Pabst (1932, vedi), "a me quel giorno mi ha cambiato la vita!" Una malinconia cinefila che tornerà anche davanti a un televisore, dove gli basterà un fotogramma per riconoscere Paisà di Rossellini (1946), senza riuscire più a cambiare canale, rivedendolo per l'ennesima volta lasciandosi andare alla commozione ("è troppo bello!").
Francesca Comencini, peraltro, come nel caso del Pinocchio di Antamoro, usa diversi brani di pellicole del cinema muto (anche nei titoli di coda), e lo fa soprattutto per ricordare il padre, che salvò decine di film d'epoca che poi costituirono il primo nucleo della cineteca di Milano.
Anche il diverso approccio dei due al cinema è un tema del film. Pur nella consapevolezza che sia "proprio un bel mestiere il nostro", la distanza cinematografica tra padre e figlia viene evidenziata da Luigi che, un po' deluso, chiede alla figlia al primo film (Pianoforte, 1984) come si faccia ad esordire con una pellicola autobiografica, mentre lui in tanti anni non ha mai ceduto a raccontare episodi della propria vita ("non mi chiedere di vedere questo film, perché proprio non ce la faccio"). Una delusione che col tempo, però, si trasformerà in ammirazione per il coraggio e per la determinazione, e in orgoglio, vedendola in tv, serissima ("fai un sorriso"), a ritirare premi.
Tra le location, soprattutto romane, oltre le citate piazza del Popolo e piazza Navona, la scuola francese che frequenta Francesca sembra essere sull'Aventino, la passeggiata di Francesca con il ragazzo appena conosciuto va tra l'arco di vicolo della Pace, fiancheggia Santa Maria dell'Anima e arriva a S. Maria della Pace, mentre il sagrato della chiesa dove Luigi abbraccia Francesca dopo il triste momento del funerale del fidanzato tossicomane è quello di Santa Maria della Consolazione. La tensione dopo il rapimento di Aldo Moro - salutato nelle classi con un agghiacciante applauso dagli studenti - viene immortalata significativamente proprio nel piazzale delle Scienze, di fronte alla città universitaria, che anni dopo verrà intitolato proprio ad Aldo Moro.
Sullo storico presidente della DC, da spettatore è impossibile non rischiare la sovrapposizione dei personaggi, dato che solo pochi anni fa è stato proprio Gifuni a interpretarlo in Esterno notte (Bellocchio 2022), ma è un dettaglio, poiché prevale la bravura dell'attore romano, che ci regala l'ennesima interpretazione superba della sua carriera, curata nei minimi aspetti, come la riproduzione del Parkinson che afflisse Comencini sin dalla fine degli anni Settanta.
Tornando alle location, c'è Parigi, con la Senna sì, ma anche le ripide scale della zona di Montmartre, e persino un pezzo di Napoli, con il set di Marcellino pane e vino (1991), dove Francesca ormai è aiutoregista del padre, dal quale impara che i totali sono importanti, altrimenti si perde il contesto, non ci si può limitare ai primi piani.
Francesca adolescente a piazza Navona
Diversi i brani della colonna sonora che, oltre alle musiche originali di Fabio Massimo Capogrosso, rimandano agli anni narrati dal film, come Il cuore è uno zingaro di Nicola di Bari (1971), ma anche Stasera mi butto di Rocky Roberts (1967).
La tenerezza del rapporto padre-figlia in questo film è tanta, ma anche nei momenti più duri la riflessione rischia di essere letteraria e così Luigi rimprovera la figlia di non portare mai a termine nulla e la incita a fare il contrario, in modo da capire almeno di aver fallito per poter riprovare e fallire meglio. Ma oltre la citazione beckettiana, evidente anche se non palesata dal personaggio, c'è quella di Due o tre grazie di Aldous Huxley, che invece Luigi consiglia di leggere alla figlia, a suo avviso troppo camaleontica nel diventare volta per volta simile alle persone di cui si circonda.
L'abbraccio di Luigi a Francesco alla Consolazione
Un problema di personalità, si direbbe, ma anche quello sarà superato con la maturità e con il tempo, quello che ci vuole, per superare i propri mostri, crescere, e trovare un equilibrio con un padre ingombrante, certo - e la sequenza della Francesca bambina nel campo del padre è chiaramente simbolica in tal senso -, ma pieno d'amore.
Un uomo in grado di aspettare gli errori della figlia con pazienza e che alla domanda "e che faremo nel tempo che ci vuole?" non può che rispondere "bè, andremo al cinema".
La sala come miglior terapia al mondo, il cinema come risposta alla solitudine e alla tristezza, il cinema capace di passare dal deserto a un teatro di Parigi con le ballerine del can can, proprio come ne L'Atlantide di Georg Wilhelm Pabst, o a farci volare come in Miracolo a Milano (De Sica 1951), anche se in cielo dovesse inghiottirci una balena, tra Collodi e Federico Fellini...

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