lunedì 30 settembre 2024

L'innocenza (Kore-eda 2023)

L'ennesimo capolavoro di Hirokazu Kore-eda, Queer Palm e migliore sceneggiatura a Cannes, tra i suoi tanti pregi ha la dedica a Ryuichi Sakamoto. La pellicola contiene l'ultima colonna sonora del maestro scomparso nel marzo 2023 (leggi), emozionante come sempre e, forse stavolta, inevitabilmente, anche di più: difficile uscire dalla sala senza continuare a fischiettare o cercare su internet la struggente Aqua.
L'innocenza, che in originale e nella versione internazionale si intitola "mostro" (Kaibutsu/Monster), è un titolo altrettanto evocativo e azzeccato per una storia che in effetti ruota attorno all'ambiguità del concetto di colpevolezza: e se colui che viene considerato un mostro non avesse responsabilità su ciò di cui viene accusato e fosse innocente? (trailer)
La storia, che segna il ritorno di Kore-eda al Giappone, dopo la Francia (Le verità, 2019) e la Corea del Sud (Broker, 2022), viene raccontata da diversi punti di vista e, ogni volta, anche attraverso i flashback, allo spettatore viene detto qualcosa in più sui due bambini protagonisti, Minato e Yori.
L'incendio di un palazzo viene osservato a debita distanza da Saori (Sakura Andō) e dal figlio undicenne Minato (Soya Kurokawa), affacciati dal balcone dell'appartamento in cui vivono. Come Kore-eda ci ha da sempre abituati, le famiglie dei suoi film sono complesse, irregolari, asimmetriche e L'innocenza non fa eccezione. Il papà di Minato è morto poco tempo prima e i due lo ricordano nel giorno del compleanno con una torta davanti a un piccolo altare casalingo. Quello che succede attorno, in questa situazione, appare secondario, ma ciò che trapela dai racconti scolastici di Minato non tranquillizza di certo Saori, alla quale il figlio fa domande preoccupanti in cui si chiede se un uomo con un cervello di maiale resta umano. Quesiti del genere sembrano frutto del confronto del bambino con il maestro Hori (Eita Nagayama) e Minato è convinto di essere lui stesso a correre quel rischio. Le lamentele di Saori a scuola non ottengono altro se non la chiusura a riccio della preside e del maestro, coperto dai suoi colleghi.
Tutto si sfuma nelle accuse vicendevoli e nelle azioni non sempre irreprensibili dei singoli: Hori dà del bullo a Minato, Saori replica che il maestro è un uomo inaffidabile perché va in un bar per soli adulti e che forse si deve proprio a lui l'incendio di qualche giorno prima, ma vede anche la preside che in un supermercato fa lo sgambetto a una bambina rea di fare confusione.
La scuola minimizza l'accaduto, Saori è eccessivamente di parte, il maestro e la preside hanno una vita privata che non depone a loro favore, tanto più che nel passato della seconda c'è la morte di una nipotina avvenuta in circostanze poco chiare.
Il coinvolgimento del compagno di Minato, Yori (Yota Hiiragi), orfano di madre e con un padre alcolista, amplia i confini dei fatti e complica il rompicapo, permettendo allo spettatore di avere un ennesimo punto di vista e di comprendere quanto la verità possa essere sfaccettata e mai univoca. D'altronde la preside è molto chiara sul valore della verità in senso assoluto: "ciò che è successo veramente non ha nessuna importanza".
La grandezza de L'innocenza, come accadeva recentemente nell'altrettanto grande Anatomia di una caduta (Trier 2023) - secondo quello che è tradizionalmente noto come effetto Rashomon dal capolavoro di Akira Kurosawa (1950) -, è in buona parte in questa ambiguità.
La sceneggiatura di Yūji Sakamoto regala diverse perle e un paio sono rivolte dalla preside proprio a Minato: prima gli mostra vari strumenti a fiato e gli dice "qualunque cosa sia la cosa che non puoi dire... soffiala via", in una delle tante immagini poetiche della pellicola; e poi, parlando di felicità, sentenzia che "se riescono a raggiungerla solo alcune persone, non è felicità". Ma su tutte, un posto speciale va sicuramente alla battuta di Minato a Yori su un vecchio luogo comune che divide i maschi dalle femmine sin da quell'età: "la mamma dice che alle ragazze non piacciono quelli che conoscono i nomi delle piante".
Tanti gli oggetti e le figure-dispositivo che rendono il film ricco di simboli, a partire dall'accendigas che Saori trova in camera di suo figlio, ma con cui lo spettatore vede giocare anche Yori; la lettera che lo stesso Yori scrive con Saori per scagionare Minato; un gatto morto, che attira l'attenzione dei due ragazzini e le loro pulsioni mortifere; un pesce che boccheggia sdraiato sul fondo di un acquario; ma soprattutto una galleria-confine che porta a un vagone abbandonato che diventa il luogo intimo e privato di Minato e Yori.
È una location che Kore-eda sembra "rubare" alla poetica di Hayao Miyazaki: l'antro liminale, che pure è topos letterario, può far pensare alle porte de Il ragazzo e l'airone (2023), ma è principalmente il tema della natura lontano dalla città a essere analogo a quello dell'immaginario del fondatore dello Studio Ghibli.
Solo in quel luogo i due bambini trovano se stessi, la pace, lì tirano fuori i sentimenti, lì si scontrano, lì seppelliscono il gatto sotto le foglie dandogli fuoco sperando nella reincarnazione, lì giocano al "chi sono?" - il gioco con il foglietto sulla fronte -, che a quelle latitudini prende, guarda caso, il titolo di "chi è il mostro?". Ed è proprio lì che la natura mostra tutta la sua potenza, con il diluvio e la splendida Aqua di Sakamoto, dando la sensazione che il vagone possa davvero partire come farebbe in un film di Miyazaki ("sta per partire?" "dal rumore credo di sì" si dicono Minato e Yori). La natura si infuria come gli animi dei protagonisti, tra la tristezza degli adulti (Saori, il padre di Yori, la preside) e la felicità dei bambini, in grado di sentirsi rinati al caldo del sole.
La maniera di trattare con leggerezza e naturalezza la tematica dell'ambigua vicinanza tra Minato e Yori, scomoda un altro mostro sacro del cinema giapponese, Yasuhiro Ozu che, con Sono nato ma... (1932), riusciva nell'impresa di raccontare una storia di bambini e di metterli completamente a proprio agio davanti alla mdp, rendendoli protagonisti assoluti di una pellicola. Novant'anni dopo, Kore-eda fa qualcosa di simile per oggi, lavorando senza tabù sui sentimenti e le emozioni infantili, e questo fa de L'innocenza un capolavoro dei nostri tempi.

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