venerdì 24 maggio 2024

Gloria! (Vicario 2024)

Un film in costume, minimalista, raccolto sulle vicende di un istituto per orfane come fino all'età napoleonica ce ne erano ovunque e che dirottò l'insegnamento dei ragazzi verso la musica, motivo per cui ancora oggi chiamiamo le scuole di musica "conservatòri", che in origine avevano semplicemente il compito di "conservare" orfani. 
Gloria!, che si complica la vita a partire dal titolo, con un necessario punto esclamativo per differenziarsi dal gran film di John Cassavetes con Gena Rowlands (1980), è il film d'esordio della cantautrice romana Margherita Vicario, scritto insieme ad Anita Rivaroli. Non è un musical, sia chiaro, nessuna sequenza mostra personaggi che interagiscono cantando e ballando come prevede questo genere, ma ha la musica come tema centrale e una ricca colonna sonora che alterna musica barocca e moderna. Si tratta di una storia di formazione, di scontro con il potere e con il patriarcato, di voglia di libertà in anni in cui questo, tanto più per le ragazze, era qualcosa di inconcepibile (trailer). Purtroppo l'ottima idea di partenza e le buone premesse, confezionate qua e là anche in una discreta forma registica, si arenano su un risultato ambiguo in cui realismo e fantasia cozzano tra loro. Ne viene fuori un film che è un bell'omaggio alle tante ragazze che composero musica senza poter firmare le loro opere e per le quali altri raccolsero i meriti, ma proprio quest'aspetto e la realtà storica di questi fatti si perde in un racconto che, proprio quando sembra prendere quella strada, sceglie di non farlo e chiudere in un evanescente finale fiabesco e semplicistico che coincide con il giorno del concerto in onore del papa.
In un buffo parallelo, le ragazze protagoniste vagheggiano ingenuamente la Francia rivoluzionaria senza capirne bene la sostanza, così come la pellicola si ferma a un femminismo superficiale che avrebbe meritato storicamente e politicamente ben altro approfondimento. Alla fine, quindi, Gloria! è lontano dal rigore di film come Rapito (Bellocchio 2023) in cui la ricostruzione storica è filologica e priva di sbavature, ma anche da pellicole in cui il femminismo è protagonista in maniera allegorico-fiabesca, come Povere creature (Lanthimos 2023), o giustapponendo fedeltà storica e inserti moderni, come Il corsetto dell'imperatrice (Kreutzer 2022), né tantomeno è una versione pop e glamour della storia, stile Marie Antoinette (Coppola 2006). Le influenze dichiarate, invece, sono quelle che rimandano al cinema di Alice Rohrwacher, molto evidenti nei toni sognanti, e a quello di Greta Gerwig, per quelli ribelli.
All'Istituto di Sant'Ignazio, nei pressi di Venezia, Teresa (Galatéa Bellugi) è nota da tutti come "la muta", anche se in realtà non solo non lo è, ma ha l'orecchio assoluto e sente la musica in ogni azione quotidiana. La sequenza in cui ascolta i rumori attorno a sé - quello metallico degli utensili da cucina, quello delle lenzuola tirate per essere stese al sole, quello dei panni strofinati nei lavatoi - è senza dubbio la migliore dell'intera pellicola, fatta di immagini e strutturata in un montaggio serrato e dal suono ritmato che ci regala la sensazione di essere nella percezione del personaggio, in una soggettiva sonora di grande impatto.
Nel corso del film capiremo che la condizione di Teresa è peggiore delle altre orfane perché ha perso l'intera famiglia, uccisa dai francesi, ed è stata anche violentata dal direttore dell'istituto (Natalino Balasso), è rimasta incinta di un bambino che le é stato portato via. Dato il suo status non può avvicinare le ragazze che invece fanno lezione di musica tutti i giorni con il maestro Perlina (Paolo Rossi), una sorta di don Abbondio musicista, forte con i deboli e debole con i forti. Siamo nei primissimi anni dell'800, l'esperienza della Repubblica Romana si è chiusa da poco, Pio VII Chiaramonti è stato eletto proprio lì a Venezia il 14 marzo 1800 (nel conclave tenutosi nel monastero benedettino di San Giorgio) e, per questo, il direttore dell'istituto chiede a Perlina di organizzare un concerto in onore del pontefice... un'occasione bellissima, se il maestro avesse un minimo d'ispirazione e capacità.
Come il curato manzoniano, e secondo un inveterato comportamento di cui il cinema italiano è ricchissimo, Perlina opera sottotraccia e cerca di far fare ad altri il lavoro che non è in grado di fare, affidandosi a giovani compositori non meno privi di talento, come Cristiano (Vincenzo Crea), con cui ha rapporti non solo professionali. Nel frattempo, negli scantinati dell'istituto, Teresa scopre un prototipo di pianoforte (anche se il primo in realtà venne inventato un secolo prima, nel 1698, dal padovano Bartolomeo Cristofori per i Medici) e inizia a fare musica pur senza averne le conoscenze. È questo ciò che le rimprovera Lucia (Carlotta Gamba), la più rigida delle quattro ragazze del conservatorio - le altre sono Bettina (Veronica Lucchesi, anche lei cantante nel duo La Rappresentante di Lista), Marietta (Maria Vittoria Dallasta), Prudenza (Sara Mafodda) - che scenderanno a patti con lei per utilizzare quella grande risorsa nascosta.
Il personaggio di Lucia, peraltro, segue il topos della ragazza innamorata di un giovane con cui sogna di riuscire a lasciare l'orfanotrofio e magari portare le altre con sé. Al suo indomito ottimismo, cui seguirà la medesima sorte toccata a tante donne della letteratura romantica, che qui si trasforma in una più moderna opposizione al matrimonio in favore dell'amore, si contrappone quello di Bettina, in fondo una sognatrice anche lei, seppur in maniera diametralmente opposta. Lei crede soprattutto in un futuro socialmente e politicamente diverso, nella rivoluzione e, a livello personale, spera di riuscire a conoscere Madame de Staël. Il sostegno alle ragazze, compresa Teresa, contro il patriarcato imperante, è costituito da donna Lidia (Anita Kravos), una nobildonna che sembra essere l'unica a poter dare ordini a Perlina.
Il film, a parte qualche inquadratura davvero veneziana e una location ticinese - palazzo dei Landfogti, un tempo la rinascimentale Casa Baggio a Malvaglia, all'interno del Ducato di Milano -, è girato in Friuli Venezia Giulia. E così la laguna di Grado, che oggi appare ancora incontaminata, può "interpretare" al meglio la sua più celebre omologa nel '700. D'altronde la storia ha Venezia solo in lontananza e la Venezia di terra è perfettamente riproducibile nei luoghi scelti, come Udine, Cervignano e il Castello di Strassoldo di Sopra, Gorizia e il suo palazzo Lantieri.
L'orfanotrofio, invece, è ambientato in palazzo Steffaneo Roncato a Crauglio, San Vito al Torre (Udine).
La classe di musica, infatti, dove Perlina insegna e sbraita contro le ragazze, è in realtà il salone da ballo dell'edificio, riconoscibile per gli affreschi a tema musicale di Francesco Chiarottini, allievo di Francesco Fontebasso, a sua volta seguace di Giovan Battista Tiepolo. I dipinti, realizzati nell'ottavo decennio del Settecento, peraltro, partono proprio da invenzioni tiepolesche che Chiarottini conosceva da una serie di incisioni a cui aveva lavorato. 
La chiesa in cui invece si tiene il concerto finale è quella di Villa Lantieri a Gorizia, intitolata a san Carlo Borromeo, che infatti compare anche in scena sul dipinto d'altare.
La fiaba di Vicario sembra volerci mostrare due diversi modi per liberarsi dalle pastoie retrive rappresentate dall'insegnamento accademico di Perlina, ma lo fa con una visione romanticistica che risulta altrettanto passatista. E così da una parte abbiamo le ragazze che compongono musica partendo da ciò che hanno imparato, e dall'altra l'apoteosi naif della "cenerentola", per giunta considerata muta, che invece è un genio incompreso della musica e che, di fatto, realizza brani avveniristici e rivoluzionari, che somigliano tanto alla musica leggera del XX-XXI secolo. Inutile dire quale parte sposi la pellicola, in un disorientante nonsense che non ha nulla di storico e propone una visione assurda di un'anticipazione di tendenze e di gusti di due o tre secoli rispetto alla realtà che racconta (es. Fosse solo un giorno, Questo corpoIo ti vedo).
Eppure il film qua e là regala sprazzi di buon cinema, in cui stanno bene anche il cameo della stessa Margherita Vicario che compare in veste di dama settecentesca veneziana che fa l'elemosina, ma soprattutto Elio, al secolo Stefano Belisario, nei panni di Romeo, un "Geppetto" tuttofare al servizio del conservatorio, che ha a cuore le sorti di Teresa, per la quale realizza anche un piccolo strumento da pizzicare, ricordandole che "i dispari vanno sempre d'accordo".
Gloria! è, nonostante le ingenuità e le incertezze, un buon inizio e Margherita Vicario ha tutte le doti per poter continuare in maniera fruttuosa sulle note di un cinema ribelle e sovversivo, che in Italia rappresenta un'ottima ventata di aria fresca.

1 commento:

  1. Un film sicuramente imperfetto ma fresco, giovane, vitale, non ingessato negli stereotipi del cinema italiano. E che rispecchia a pieno titolo la sua regista. Per me da promuovere senza riserve :)

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