lunedì 26 agosto 2024

L'arte della gioia (Golino 2024)

Il romanzo più famoso di Goliarda Sapienza, terminato nel 1976, ma pubblicato in parte nel 1994 e per esteso solo nel 1998, quando la sua autrice era morta già da due anni, finalmente è stato adattato per il cinema e, a dire il vero, principalmente per la tv.
L'arte della gioia di Valeria Golino, che è stata allieva di Goliarda Sapienza al Centro Sperimentale di Cinematografia, infatti, è stato diviso in due parti per la sala e in sei puntate per la serie televisiva.
La storia di Modesta, l'eroina e alter ego di Goliarda - sulla scrittrice esiste un bel podcast intitolato Gagliarda Potenza firmato dal gruppo Mis(S)conosciute, composto da Giulia Morelli, Maria Lucia Schito e Silvia Scognamiglio -, è quella di un romanzo d'altri tempi, quasi ottocentesco, un carattere che costituì uno dei motivi delle sue difficoltà editoriali, che sullo schermo diventa subito un classico (trailer).
Adattato dalla stessa Golino, che ha scritto l'ottima sceneggiatura con  Luca Infascelli, Francesca Marciano, Valia Santella e Stefano Sardo, e recitato da bravissimi interpreti, a partire dalle giovanissime Tecla Insolia, nei panni di Modesta, e Alma Noce in quelli di Beatrice, ma anche da Valeria Bruni Tedeschi che è la principessa Gaia Brandiforti (mai parte più adatta per l'attrice torinese), Jasmine Trinca la badessa Leonora, Guido Caprino il "gabbellotto" Carmine, Giuseppe Spata l'autista Rocco.
"Ho rubato... quante volte mi sono innamorata: tutte le volte che è stato necessario".
Così Modesta, simbolicamente nata il 1° gennaio 1900, introduce se stessa e il suo personaggio pieno di vita, sempre frontale, che vive nella convinzione di non aver nulla da perdere, ma che ogni volta perde qualcosa, soffre, cade, si rialza, per affrontare un ignoto che è sistematicamente garanzia di crescita, piacere e nuova sconfitta, senza soluzione di continuità.
1909. Con diversi flashback iniziali, Golino racconta l'infanzia della giovane protagonista, tra una casa/grotta nel catanese, nella "chiana" del Bove, la valle sotto l'Etna, la "montagna", dove vive con madre e sorella down, Tina - con un padre assente, ma la cui rara presenza pesa come un macigno sulla vita di Modesta -, e il convento, dove cresce, ragazzina povera tra coetanee di alto lignaggio.
Qui diventa la pupilla della badessa Leonora, che la sceglie tra tutte le altre proprio per la sua origine e per la sua incapacità di seguire le regole sociali. Per lei Modesta rappresenta non solo il mito del buon selvaggio, la ragazza da formare, da acculturare, da plasmare a propria somiglianza, ma anche la libertà che non le è stata concessa.
Il loro rapporto ben presto si fa ambiguo e, paradossalmente, la più pronta a viverlo sarebbe proprio la ragazza più giovane, ma morale cattolica, sensi di colpa e responsabilità conventuale, uniti alla straordinaria consapevolezza di Modesta, creano un cortocircuito in Leonora che arresta tutto con la forza violenta del silenzio: non più una parola, non più un contatto.
Modesta ha la vita che le brucia dentro ("loro avevano Dio, io volevo la vita"); vive tutto spontaneamente e istintivamente, senza mediazioni morali o culturali: le prime gioie del sesso orale tra il sole caldo e le spighe di grano nella campagna; in convento riconosce Dio nella luce, per dare sostanza fisica a un'idea. La sua è la purezza dei ragazzi di vita di Pasolini, e come loro è nata nella stessa violenza: "dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori" per dirla col poeta De Andrè.
All'opposto, Leonora è tutta senso di colpa, sociale e religioso. Le sue origini aristocratiche lo confermano. E presto conosciamo la sua famiglia, nobiliare e in decadenza, piena di senso estetico e priva di pragmatismo, come dimostra a pieno sua madre, la principessa Gaia Brandiforti, per cui tutto è misurabile e giudicabile in termini di bellezza. Modesta, infatti, uscita dal convento, dopo le peggiori conseguenze che la sua presenza ha generato, con tanto di gelosie e vendette - poiché dove dominano gli istinti, laddove l'amore non può essere si trasforma in odio ("più odiavo più mi sentivo bene") -, si trasferisce proprio a villa Brandiforti, grazie alla munificenza di Leonora, con la principessa e con la giovanissima Beatrice (Alma Noce), che la donna chiama Cavallina. Gaia ha un soprannome per tutti, cosicché anche per la domestica ne ha uno, Argentovivo, perché mai ferma, un temperamento che non può non piacere alla protagonista, che a sua volta viene chiamata, con un gioco onomastico estetizzante ma allo stesso tempo pieno di senso, Maudie. Modesta, accrescendo ancor di più il significato del suo nuovo nomignolo, viene instradata a leggere i poeti maledetti dalla principessa, che non sopporta di vederla sempre vestita di nero. Anche lei, come in passato la figlia, vuole plasmarla...
La fuga di Modesta dalla grotta in fiamme della sua famiglia ricorda la fuga di Ulisse dall'antro di Polifemo e il bel montaggio, che accosta tempi diversi, ci fornisce quel momento alternato alla fuga da Leonora che la respinge.
Tra le citazioni letterarie, nella relazione tra Modesta e la badessa, che le racconta la storia di sant'Agata e le parla di sant'Agostino, c'è quella dettata dalla voglia della ragazza che - appassionatasi alle serate passate insieme guardando il cielo con il telescopio - chiede "torneremo a vedere le stelle?". La frase, evidentemente ripresa dal celeberrimo "E quindi uscimmo a riveder le stelle" (If. XXXIV, 139), che in Dante segna l'uscita dall'inferno, qui segna un nuovo inizio, quello preannunciato da Leonora stessa, che le dice "il tuo posto è nel mondo". E che il poema dantesco c'entri, lo dimostra subito dopo la sceneggiatura, che inserisce anche l'altrettanto famoso "e caddi come corpo morto cade" (If. V, 142).
Difficile trovare personaggi maschili positivi, poiché perlopiù l'uomo è visto come essere violento, insensibile, opportunista e, di fatto, rappresenta un ostacolo alla libertà di Modesta e non solo. Il padre di Modesta è l'apoteosi di questo simbolo, ma anche gli uomini che non vediamo non sono migliori.
Come l'ufficiale di cui un tempo Leonora era follemente innamorata e di cui fu promessa sposa, ma che l'ha abbandonata... Come non pensare all'analoga storia di Adele Hugo, scoperta da Frances Vernor Guille alla Pierpont Morgan Library di New York, nel diario poi pubblicato a partire dal 1968, e resa celebre dal capolavoro di François Truffaut Adele H (1975)?
Altri uomini hanno ruoli minimi, spesso semplicemente funzionali a Modesta. È il caso del già citato ragazzo della valle del Bove, che assolve al bisogno di piacere della protagonista; di Mimmo, il giardiniere del convento, la cui bassa estrazione lo rende un compagno affidabile per Modesta, persino in grado di placare la sua voglia di vita, quando questa si fa socialmente inopportuna; di Rocco, autista della principessa Brandiforti, altro personaggio del popolo, che si innamora di Modesta e che vorrebbe sposarla, varcando però un confine che la ragazza non gli perdona.
C'è poi un ragazzo deforme, una sorta di Quasimodo (Sapienza si imbatte ancora in Victor Hugo?), che vive nella soffitta di Villa Brandiforti... anche lui amplifica l'empatia di Modesta, che la mentalità del tempo trasforma in attività miracolistica. Quel ragazzo è Ippolito (Giovanni Bagnasco), il figlio di Gaia, che sarà il trampolino sociale di Modesta, che dividerà le sue attenzioni tra lui e quello che può essere considerato il personaggio maschile più importante del romanzo, Carmine, l'uomo con cui la protagonista entra in conflitto, ma anche l'uomo per cui prova la passione più forte, non a caso ancora un uomo del popolo. È il "gabbellotto" della tenuta Brandiforti, colui che si occupa della gestione e delle cose pratiche che annoiano la principessa Gaia, che ha sempre avuto un ruolo rilevante all'interno della villa e che ha scatenato irrefrenabili desideri non solo in Modesta...
Tutto è contrasto sociale e anche su Ippolito Modesta nota la differenza di comportamento, paragonandolo a sua sorella Tina che, pur se down, viveva con lei e la madre, "i signori invece si vergognano". Per loro, e per Gaia in primis, tutto ciò che non piace e non va nella direzione che vogliono va nascosto. Modesta sa di appartenere a un'altra realtà e umanamente ed eticamente la ama molto di più, ma purtroppo per vivere senza difficoltà economiche e per ricevere il rispetto degli altri si rende conto che è molto meglio salire i gradini della società.
Modesta è un detonatore e, per certi versi, è apparentabile all'ospite interpretato da Terence Stamp in Teorema di Pasolini (1968), un catalizzatore di attenzioni per ogni membro della famiglia, lì borghese, qui aristocratica.
La storia è sullo sfondo, lontana, e anche la fine della Prima guerra mondiale è un evento che quasi non tange la villa: i contadini e le loro famiglie vogliono festeggiarla, ma la principessa Gaia impone il silenzio e ricorda che per i Brandiforti la guerra non finirà mai, perché in guerra è morto il suo figlio adorato, Jacopo. Sarà proprio Modesta ad autorizzare i festeggiamenti nottetempo, lontano dalla villa, in un'esplosione di vita che si contrappone alla morte e al silenzio voluto da Gaia. E quel senso di morte si acuisce quando anche in Sicilia arriva l'influenza spagnola, su cui la principessa ovviamente ironizza, ma che decima la popolazione delle città e dei campi.
Modesta e Beatrice sulle ali laterali di Villa Valguarnera
La location della villa settecentesca, in cui è ambientata gran parte del film, è in realtà un insieme di quattro ville di Bagheria, Villa Valguarnera - pochi anni fa scelta per La dea della fortuna (Ozpetek 2019) - Villa Trabia, Villa Spedalotto e Villa Palagonia, e di una di Monte Porzio Catone, Villa Parisi. Della prima si riconoscono l'esterno con le grandi ali laterali e il corpo centrale con terrazza centrale da cui si affaccia spesso la principessa Gaia; dell'ultima il salone centrale, dove Beatrice riceve lezioni di ballo, alle quali si unisce anche Modesta.
Per le abitazioni dei contadini che lavorano per i Brandiforti sono invece state sfruttate le strutture della masseria di Valle Fame nel comune di Palazzolo Acreide, in provincia di Siracusa.
Quel poco di Catania che invece vediamo nel finale è la città barocca e affollata nel suo centro storico, con Palazzo Biscari alla Marina, dove Modesta e gli altri arrivano in carrozza, e la chiesa di San Benedetto, dove la protagonista entra rimanendo stravolta dagli affreschi di Giovanni Tuccari (1726-29) - soprattutto dal Martirio di sant'Agata, storia di cui Leonora le ha parlato tanto - e dall'imponente organo.
Il convento in cui Modesta trascorre l'infanzia, infine, è in realtà il Castello Orsini Odescalchi di Bracciano con alcuni elementi esterni, tra cui la cappella e il cortile con la fontana, girati all’Abbazia di Santa Maria del Bosco a Contessa Entellina, in provincia di Palermo.
Golino usa bene la mdp e il montaggio - curato da Giogiò Franchini -, si avvale dell'ottima fotografia di Fabio Cianchetti, della scenografia di Luca Merlini e dei costumi di Rita Barbieri. L'insieme funziona molto bene: bei movimenti di macchina, riprese emozionanti (es. le distese di grano iniziali, o il pozzo in cui si getta Modesta inquadrato dall'alto, i tanti surcadrage che sfruttano porte, finestre e finestrini delle auto) e, talvolta, travolgenti. Tra queste, nella prima parte, la rabbia sensuale di Modesta, che alla ricerca del piacere negatole da Leonora, si masturba durante un temporale aprendo la finestra e facendosi bagnare dalla pioggia, una sequenza potentissima che rende la protagonista una novella Danae.
E più avanti quando la principessa Gaia prova a rendere aristocratico l'aspetto di Modesta, con un abito scuro e i capelli ben pettinati allo specchio, la protagonista somiglia in maniera non certo casuale al famoso ritratto di Mademoiselle Caroline Rivière di Pierre-Auguste Ingres (Louvre, 1806), così come quando, incinta di Eriprando ("che brutto nome che ti abbiamo dato"), è sdraiata nell'erba, ricorda l'Ofelia di Millais (Tate Britain, 1852) o una delle tante altre fanciulle dei preraffaelliti.
Le "tre cornacchie" secondo la principessa Gaia
Gaia, nel gioco dei rimandi, diventa sempre più una sorta di Fata Turchina collodiana, che però invecchierà, e alla sua cinica ironia spettano le battute più divertenti e dissacranti che ben si attagliano alla sua evanescenza, e in questo la fermezza monocorde della voce di Valeria Bruni Tedeschi è perfetta: "sembriamo tre cornacchie, tre uccelli del malaugurio" è il suo commento quando l'automobile fora una gomma e lei, Modesta e Beatrice si ritrovano ad aspettare lungo il ciglio di una strada di campagna; "avrò il diritto di contraddirmi?", prorompe quando le si fa notare di essere stata incoerente con quanto detto in precedenza; è cinica e durissima con Beatrice che vuole andare a vivere a Catania "sei zoppa, cosa vuoi vivere?". Ed è sempre lei che, quando Antonio, il maggiordomo tuttofare, le pone problemi sulla gestione economica della villa, non ne può più e gli impone di interpretare i pupi siciliani, un piccolo spettacolo da camera per alleggerire un discorso così noioso.
Tanti i momenti lirici di una pellicola che ha al suo interno tanti generi, il dramma, la commedia, il grottesco, l'erotico, persino l'horror. E così le già citate stelle viste con Eleonora, ma anche il bacio diviso dal vetro di una finestra con Beatrice, con cui Modesta legge tanto (in un caso Lo scarabeo d'oro di Edgar Allan Poe, citato in effetti nel romanzo di Sapienza), momenti di estrema poesia all'interno delle due spinte più forti, l'arrivismo sociale e la passione sessuale, entrambi aspetti di un'unica istanza: l'autodeterminazione di una donna intollerante alle regole prestabilite, che vuole sovvertire convenzioni e sfidare tabù e pregiudizi.
Modesta sin dall'infanzia mostra il suo temperamento con il quale riesce a imporsi in qualunque contesto, pur partendo svantaggiata: è questa la forza dell'eroina di Goliarda Sapienza, condita dall'ossessione di andare oltre e di superare la sua condizione di partenza. E altrettanto ossessivo è il brano sui titoli di coda, Parola, di Donato Dozzy e con la voce di Anna Caragnano, che rapisce nella ripetizione tribale ("nei ritmi ossessivi la chiave dei riti tribali" diceva Franco Battiato) di alcuni sostantivi: "pensiero profondo parola, protratta ritratto, promessa ritorno, protetta trascino" (ascolta).
Sulla considerazione della donna, il romanzo come il film sono pieni di riferimenti e di frasi che restano nella memoria. Ne scelgo una su tutte, quella con cui Gaia sintetizza la sensualità e la capacità di sedurre di Leonora, ovviamente considerato qualcosa da tenere a bada e da nascondere, "ma era donna, se fosse stato un uomo sarebbe stata una qualità".
Modesta è consapevole che lo sfavore è già dettato dall'essere nata donna, una condizione, però, che col tempo impara a trasformare in un vantaggio, vedendo in ogni persona che incontra sul suo cammino una leva su cui far forza per ottenere qualcosa di più di quello che ha. In questo senso anche la morte diventa una sua alleata, sin dall'infanzia e da quella capretta che, legata per non farla scappare, muore impiccata a testa in giù, metafora di ogni legame che, se troppo stretto, non lascia vivere, antitesi della libertà che Modesta cercherà sempre, come il mare...
D'altronde il suo obiettivo lo dichiara apertamente a Carmine ed è il modo migliore di descriverne l'indole: "io non voglio essere padrona di nessuno... né serva né padrona, voglio studiare". Come darle torto?

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