Partiamo da cinque anni fa, quando il film di Andrew Haigh sarebbe dovuto uscire nelle sale italiane, e che invece ha dovuto attendere fino ad ora, quando grazie alla Teodora film è stato finalmente distribuito, pur se in poche copie, che hanno coperto a stento le grandi città.
Una delle principali motivazioni è stato il giudizio poco lusinghiero che ne ha fornito la Commissione Nazionale Valutazione Film della CEI, che purtroppo influenza anche molti cinema gestiti da laici, che lo ha incredibilmente bollato come "sconsigliato, non utilizzabile, scabroso" perché i suoi temi principali sarebbero la droga e l'omosessualità.La prima sembra essere un pretesto per aggiungere almeno un'altra motivazione a quella reale, poiché è appena accennata e sinceramente vedere un paio di sequenze in cui appare della cocaina non mi sembra una grossa novità (verrebbe voglia di chiedere alla CEI cosa pensa degli splendidi film di Scorsese, Tarantino, ecc. in cui di droga se ne è vista davvero). La "vera" motivazione è così fuori luogo che non perderò tempo a spiegare perché lo sia, e con buona pace di tutti, per fortuna, il successo del film è stato enorme, sia per la sua qualità sia per l'ingiustificato clamore che si è trascinato dietro.
Sta di fatto che Weekend, pur se girato nel 2011, è uscito anche grazie alla notorietà che il regista inglese ha raggiunto dopo 45 anni (2015). E come questo, incentrato sull'amore e la gelosia tra due anziani, anche la pellicola precedente racconta una storia d'amore che il grande pubblico non è abituato a vedere, quella tra due giovani gay che si incontrano per caso in un locale e vivono due giorni che vanno oltre la pura passione che ci si aspetterebbe da una storia fugace.
Data la tematica, il parallelo più immediato è con almeno due film degli ultimi vent'anni, che hanno avuto l'indubbio merito di aver aperto la strada: il magnifico Happy together (Wong Kar-Wai 1997) e il bel La vita di Adele (Kechiche 2013).
Per alcuni versi Weekend deve molto ai due precedenti, dai quali riprende sia l'approfondimento psicologico dei due protagonisti, opposti e complementari, sia il realismo nelle scene di sesso, senza il quale il film perderebbe gran parte del suo impatto dirompente e il suo valore didattico e sociale.
Russell (Tom Cullen) è un ragazzo che lavora come bagnino in una piscina di Nottingham. Orfano, è cresciuto in affidamento a diverse famiglie e non ha mai conosciuto i genitori naturali. Ha un grande amico, a cui dice tutto e che conosce sin dall'infanzia, Jamie, sposato e con una bimba di cui Russ è padrino.
Proprio dopo una serata con la famiglia di Jamie e amici, decide di andare in un locale per gay e qui, pur notando un ragazzo, finisce per passare del tempo a baciarne un altro. Alla fine, però, passerà la notte con il primo, Glen (Chris New), con cui si sveglierà in casa propria al mattino seguente.
Glen è una persona molto più esuberante, apparentemente sicuro di sé - "ti ho salvato dallo hobbit" dice a Russ riferendosi all'altra sua conquista della sera precedente -, lavora in una galleria d'arte, vive la sua omosessualità in maniera più frontale, scontrandosi con i benpensanti all'occorrenza, e spera di diventare un artista. Proprio per un progetto che definisce "artistico" chiede a Russ di registrare il racconto della loro serata dal suo punto di vista...
Inizia così il bel film di Haigh, splendidamente interpretato da Tom Cullen e Chris New, diversi e complementari come i loro personaggi Russ e Glen: moro e biondo, alto e basso, introverso e spigliato, maturo e adolescenziale, romantico e cinico, il primo scrive un diario intimo, mentre il secondo registra le proprie esperienze spettacolarizzandole; dimostrano continuamente le rispettive differenze, che però, invece di allontanarli, generano l'effetto opposto, permettendogli di vivere una profonda storia d'amore in soli due giorni, con rigidità alternate a improvvise accelerazioni, proprio come capita a chiunque.
Ogni sequenza ci permette di conoscerli meglio e, in un paio di casi, tutto diventa più chiaro. Glen non sembra farsi coinvolgere più di tanto dalle storie, eppure, quando dovrà dire a Russ che è in partenza per gli Stati Uniti per andare a frequentare un corso d'arte, lo farà col massimo dell'imbarazzo, tornando dopo averlo salutato e coprendosi con il cappuccio della propria felpa. L'altra sequenza determinante e tra le più belle del film è sicuramente quella in cui Glen finge di essere il padre che Russ non ha mai conosciuto, per vedere come affronterebbe il suo coming out con il genitore. La frase di Russ è semplice e diretta, ma la risposta di Glen è quello che lui stesso e probabilmente ogni figlio omosessuale a questo mondo vorrebbe sentirsi dire in un momento del genere, condita peraltro dalla giusta dose di ironia: "Non potrei essere più orgoglioso, nemmeno se fossi il primo uomo sulla Luna".
La regia non si impone all'attenzione dello spettatore con movimenti particolari, ma in maniera discreta si avvicina ai due personaggi, di cui coglie espressioni, mutamenti d'umore ed evoluzioni sentimentali, che costituiscono buona parte della pellicola. In almeno un caso, però, un'inquadratura dice molto più di tante parole, quando la mdp fotografa dall'esterno il palazzo in cui vive Russ e, tra le tante finestre buie della sera, da quel freddo parallelepipedo emerge la luce della stanza in cui i due protagonisti si abbracciano e si baciano, in una semplice ma profonda metafora sulla diversità.
A empatizzare lo spettatore con i personaggi ci pensa l'ottima sceneggiatura, scritta dallo stesso regista, che non tralascia nulla, andando ad indagare il rapporto tra omosessuali ed eterosessuali, tra omosessuali e famiglie di origine; tra omosessuali e società, nonché i diversi approcci e giudizi su ciò che libertà di azione e di linguaggio possono significare. Bellissimo a tal proposito il confronto tra Russ e Glen su quello che si può dire in pubblico dei rapporti sessuali tra due persone dello stesso sesso e quanto invece su quelli eterosessuali; oppure sull'idea di matrimonio tra omosessuali letta a seconda della mentalità come affermazione romantica di un diritto inalienabile o come inconscia volontà di conformarsi a schemi sociali tradizionali.
Andrew Haigh ci regala, infine, anche un po' di cinefilia. Durante una serata al luna park, Glen parla di Camera con vista (Ivory 1986) - Russ lo definisce "il film di elegantoni" - come principale mezzo di autoerotismo della propria adolescenza, quando metteva in pausa la videocassetta sull'inquadratura che immortalava Rupert Graves totalmente nudo. Lo stesso Glen, in stazione, sdrammatizza con Russ: "questo è il nostro momento alla Notting Hill" (Mitchell 1999), intendendo un modello standardizzato di cinema romantico... una citazione quantomai divertente tanto più perché pronunciata da Glen, che non sopporta gli schemi imposti dalla società; che ha liquidato la sua omosessualità davanti ai genitori con un semplice "natura contro cultura"; che si lamenta costantemente di come le coppie gay scimmiottino le coppie eterosessuali e di come tutto nel loro mondo sia derivato da quelle, anche le narrazioni, i libri, ecc.
In fondo cade anche lui entro quei confini un po' stretti, preso dall'ansia di dover dimostrare più che essere, cosicché la matura serenità di Russ, capace di accettare qualche compromesso, sembra la via migliore per vivere la loro storia, al di là delle assurde pretese adolescenziali di cambiare il mondo in un colpo solo. Ma è proprio mentre tutto questo sembra assodato che Russ è pronto a scontrarsi con chi li deride a distanza, segno che ormai una parte delle idee di Glen lo hanno influenzato e forse, grazie a lui, si sta liberando di quella strana sensazione che lo fa essere se stesso quando è a casa, mentre, come sintetizza con un efficace parallelo, in società si sente "come se non avessi digerito"...
L'amore, così come la fiducia in se stessi e negli altri, gli svisamenti tra la vita privata e quella pubblica sono temi universali, come ha detto giustamente Tom Cullen incredulo per il giudizio della CEI, e il film di Haigh parla di tutto questo. Un gran bel film per tutti, questo è certo!
La regia non si impone all'attenzione dello spettatore con movimenti particolari, ma in maniera discreta si avvicina ai due personaggi, di cui coglie espressioni, mutamenti d'umore ed evoluzioni sentimentali, che costituiscono buona parte della pellicola. In almeno un caso, però, un'inquadratura dice molto più di tante parole, quando la mdp fotografa dall'esterno il palazzo in cui vive Russ e, tra le tante finestre buie della sera, da quel freddo parallelepipedo emerge la luce della stanza in cui i due protagonisti si abbracciano e si baciano, in una semplice ma profonda metafora sulla diversità.
A empatizzare lo spettatore con i personaggi ci pensa l'ottima sceneggiatura, scritta dallo stesso regista, che non tralascia nulla, andando ad indagare il rapporto tra omosessuali ed eterosessuali, tra omosessuali e famiglie di origine; tra omosessuali e società, nonché i diversi approcci e giudizi su ciò che libertà di azione e di linguaggio possono significare. Bellissimo a tal proposito il confronto tra Russ e Glen su quello che si può dire in pubblico dei rapporti sessuali tra due persone dello stesso sesso e quanto invece su quelli eterosessuali; oppure sull'idea di matrimonio tra omosessuali letta a seconda della mentalità come affermazione romantica di un diritto inalienabile o come inconscia volontà di conformarsi a schemi sociali tradizionali.
Andrew Haigh ci regala, infine, anche un po' di cinefilia. Durante una serata al luna park, Glen parla di Camera con vista (Ivory 1986) - Russ lo definisce "il film di elegantoni" - come principale mezzo di autoerotismo della propria adolescenza, quando metteva in pausa la videocassetta sull'inquadratura che immortalava Rupert Graves totalmente nudo. Lo stesso Glen, in stazione, sdrammatizza con Russ: "questo è il nostro momento alla Notting Hill" (Mitchell 1999), intendendo un modello standardizzato di cinema romantico... una citazione quantomai divertente tanto più perché pronunciata da Glen, che non sopporta gli schemi imposti dalla società; che ha liquidato la sua omosessualità davanti ai genitori con un semplice "natura contro cultura"; che si lamenta costantemente di come le coppie gay scimmiottino le coppie eterosessuali e di come tutto nel loro mondo sia derivato da quelle, anche le narrazioni, i libri, ecc.
In fondo cade anche lui entro quei confini un po' stretti, preso dall'ansia di dover dimostrare più che essere, cosicché la matura serenità di Russ, capace di accettare qualche compromesso, sembra la via migliore per vivere la loro storia, al di là delle assurde pretese adolescenziali di cambiare il mondo in un colpo solo. Ma è proprio mentre tutto questo sembra assodato che Russ è pronto a scontrarsi con chi li deride a distanza, segno che ormai una parte delle idee di Glen lo hanno influenzato e forse, grazie a lui, si sta liberando di quella strana sensazione che lo fa essere se stesso quando è a casa, mentre, come sintetizza con un efficace parallelo, in società si sente "come se non avessi digerito"...
L'amore, così come la fiducia in se stessi e negli altri, gli svisamenti tra la vita privata e quella pubblica sono temi universali, come ha detto giustamente Tom Cullen incredulo per il giudizio della CEI, e il film di Haigh parla di tutto questo. Un gran bel film per tutti, questo è certo!
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