Spike Lee, dopo il grande successo, pur senza premi, di Fa' la cosa giusta (1989), girò una pellicola che non solo confermò il suo talento, ma diede inizio al suo sodalizio con Denzel Washington, che, proprio grazie a Mo' Better Blues, ebbe il suo primo ruolo da protagonista, avviando quel percorso che lo rese una delle star di Hollywood.
Il film, che doveva inizialmente intitolarsi Beneath the Underdog, per l'autobiografia del jazzista Charles Mingus, passò poi a Variations on the Mo' Better Blues, infine abbreviato con la sola seconda parte. Sia il locale in cui suona il gruppo del protagonista, sia il concerto principale a cui assistiamo durante la storia, peraltro, hanno come nome e titolo Beneath the Underdog, in esplicito omaggio a Mingus (trailer).
Dopo gli splendidi titoli di testa, che corrono su uno schermo virato in blu, nel quale vediamo una tromba e delle mani intrecciate, la storia ci porta a New York, nel 1969, dove Bleek Gilliam è un ragazzino di sette anni, che non può uscire a giocare con i suoi coetanei, poiché la madre glielo impedisce finché non avrà finito i suoi esercizi con la tromba. La mdp ruota sotto la chioma di un albero per poi scendere, in un unico piano sequenza, all'ingresso della casa, dove gli altri ragazzini chiamano Bleek. Poco dopo un'ellissi e, dalle labbra del bambino, passiamo alle labbra di Bleek ormai adulto, ad un concerto del suo gruppo.
La prima scena si ripeterà alla fine della storia, rendendo la pellicola perfettamente circolare. Ulteriore omaggio alla musica e ad un altro mostro sacro del jazz il nome di quest'altro bambino, Miles, come il grande trombettista jazz Miles Davis.
Altrettanto circolare è un altro bel movimento di macchina che immortala Bleek in casa sua, mentre suona, permettendoci di vedere l'intero ambiente, poster di A love supreme compreso. Non sorprenderà lo spettatore, quindi, quando intere sequenze avranno come sottofondo musicale proprio l'album di John Coltrane del 1964.
Basterebbero questi dettagli per comprendere che Mo' Better Blues è una pellicola imperdibile che segnò l'inizio degli anni Novanta.
Bleek è leader di un quintetto costituito dal sassofonista Shadow Henderson (Wesley Snipes), il pianista Left Hand Lacey (Giancarlo Esposito); il contrabbassista Bottom Hammer (Bill Nunn); il batterista Rhythm Jones (Jeff "Tain" Watts). Come in tutti i gruppi, invidie, gelosie, donne contese, donne invadenti, opinioni diverse sul futuro della band minano l'equilibrio dei suoi componenti e sul palco, col tempo, gli attriti inizieranno a vedersi, fino agli scontri plateali.
A complicare le cose, il manager del gruppo, Giant (Spike Lee), è un accanito scommettitore e Bleek, che è un suo caro amico d'infanzia, deve spesso tirarlo fuori dai guai, cosa che purtroppo non sarà sempre possibile...
La vita di Bleek è incentrata sulla musica, e persino l'amore passa in secondo piano, spesso limitato a quella che lui stesso semplifica in una "questione di cazzo". Frequenta due donne, Indigo (Joie Lee, sorella di Spike) e Clarke (Cynda Williams), delle quali, per motivi diversi, non riesce a fare a meno, e sceglierà tra le due solo quando non potrà più scegliere. Tutta questa sicurezza, infatti, è destinata a sgretolarsi, e di Bleek seguiremo ascesa, caduta e una rinascita, che lo porterà ad una vita meno roboante e più equilibrata della precedente.
Tra gli altri personaggi, compaiono in piccoli ruoli i fratelli John e Nicholas Turturro, qui nella parte di Moe e Josh Flatbush, proprietari ebrei del Beneath the Underdog, e per Samuel Jackson, tra i picchiatori assoldati dai creditori di Giant.
Sempre molto sentita da Spike Lee la questione razziale e di divisione tra le comunità. Non a caso, peraltro con tema cinefilo, compare anche in un monologo che la sceneggiatura mette in bocca proprio a Giant, l'ossimorico nome del personaggio interpretato dal regista, che ricorda come il fratello da adolescente avesse in camera i poster di due star bianche, Veronica Lake e Bette Davis, e quanto la cosa non fosse vista di buon occhio in casa. Che le cose da allora non siano cambiate molto lo dimostrano le reazioni degli altri componenti della band nei confronti della compagna francese di Left Hand, la cui prima apparizione nel camerino scatena, oltre le comprensibili polemiche, anche un dialogo tra i componenti del gruppo sulle donne bianche e le "sorelle" nere.
C'è spazio anche per una citazione televisiva: in una scena, infatti, proprio Left Hand suona il famosissimo motivo introduttivo di Ai confini della realtà (The Twilight Zone), la serie tv di fantascienza ideata da Rod Serling, che andò in onda sulla CBS a partire dal 1959.
Tra gli altri momenti in cui la regia di Spike Lee si fa notare, ci sono diversi dialoghi in cui rinuncia al controcampo, preferendo spostare orizzontalmente la mdp; il montaggio alternato a tempo di musica tra l'assolo di Shadow e il pestaggio di Giant fuori dal locale; e poi la sua immancabile firma stilistica, con cui stavolta pone se stesso, come Giant, sulla stessa pedana su cui è montata la camera, avanzando con essa, in quel tipico non spazio in cui il tempo sembra fermarsi e il personaggio è solo con se stesso e i suoi pensieri.
Ovviamente, merita un discorso a sé la bella colonna sonora jazz e blues di Branford Marsalis, che la suona con il suo quartetto e con la partecipazione di Terence Blanchard: un sassofonista e un trombettista, come Shadow e Bleek. Brilla la coinvolgente title track Mo' Better Blues, ma anche tutte le altre, come lo struggente lento Again Never oppure Harlem Blues, cantato da Cynda Williams.
Infine, un accenno alla sceneggiatura, anch'essa di Spike Lee. La più bella battuta del film? Probabilmente quella costituita dalla risposta che Bleek, all'acme del suo successo, dà a Indigo che gli chiede cosa farebbe se non potesse più suonare: "mi raggomitolerei in un angolo e morirei e suonerei al mio funerale". Più blues di così...
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