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giovedì 31 luglio 2025

Teresa la ladra (Di Palma 1973)

Primo dei quattro lungometraggi da regista di Carlo Di Palma, storico direttore della fotografia che aveva iniziato la sua carriera come assistente operatore per capolavori come Ossessione (Visconti 1943) e Roma città aperta (Rossellini 1945). Come DOP, invece, aveva iniziato con Gillo Pontecorvo (Kapo 1960) e poi inanellato collaborazioni con Elio Petri, Giulano Montaldo, Michelangelo Antonioni (Deserto rosso, 1964 e Blow-up 1966), Luciano Salce, Mario Monicelli (L'armata Brancaleone, 1966), Dino Risi, Bernardo Bertolucci e tanti altri, fino a stabilire un sodalizio duraturo con Woody Allen, con cui lavorò costantemente dal 1983 (Hannah e le sue sorelle) al 1997 (Harry a pezzi).
In Teresa la ladra, attorno a Di Palma, che lascia la fotografia al nipote, Dario, ci sono una serie di nomi di primo piano, a partire dal produttore, Giovanni Bertolucci, per poi proseguire con Age e Scarpelli come sceneggiatori che adattano il testo del romanzo di Dacia Maraini Memorie di una ladra (1972), Ruggero Mastroianni al montaggio e, infine, Riz Ortolani per le musiche (vedi il film).
Il risultato è strepitoso, anche se il film non ha la fama che meriterebbe, forse anche per il suo netto schieramento femminista e antipatriarcale, che trova la sua massima espressione simbolica nel volto e nel corpo di una sensazionale Monica Vitti, comica, seria, divertente e malinconica, attrice totale. Il legame dell'attrice romana con la mdp è diretto, sensuale e naturale. Impossibile non ricordare che in quegli anni Di Palma e Vitti vissero una lunga storia d'amore: i due si erano conosciuti sul set di Deserto rosso (1964), quando lei era la compagna di Antonioni, e solo nel 1968 avevano iniziato una relazione che durò anni. Il loro legame, è evidente, fa molto bene anche al film.
La vicenda attraversa un cinquantennio della storia d'Italia dal Ventennio agli anni '70 con lo sguardo e la narrazione in prima persona, con la (stupenda) voce off della protagonista. Teresa (Monica Vitti) è nata in una numerosa famiglia contadina laziale, in cui, insieme ad altri tra fratelli e sorelle, è stata allevata da un padre violento e da una madre remissiva, in una condizione sociale ed economica del tutto simile a quella che pochi anni dopo caratterizzerà la baraccopoli di Brutti sporchi e cattivi (Scola 1976). 
Morta la madre ("era la prima volta che non la vedevo in piedi"), Teresa si ritrova a dover crescere in fretta, complice l'arrivo della nuova compagna del padre che, come nelle fiabe di un tempo (si pensi a Biancaneve Cenerentola su tutte), è una matrigna che privilegia i propri figli e allontana quelli altrui.
Teresa sbarca il lunario andando a servizio dai Nardecchia, la famiglia del capostazione di Campo di Carne, nell'agro romano a sud della capitale, dove sul muro della stazione campeggia in bella mostra e con i caratteri inconfondibili di quegli anni il motto "credere, obbedire e combattere" e nella stanza principale ci sono le foto incorniciate di Mussolini, Hitler e Franco. L'entusiasmo per il regime è rappresentato pienamente dal primogenito di casa, Sisto, ottuso e vanaglorioso, che fatalmente ingravida la ragazza e, a notizia ricevuta, considera il pargolo "una palla al piede" nei confronti della propria responsabilità politica in senso imperialista, meritandosi un liberatorio "ma vaffanculo", detto col cuore.
Da quel momento iniziano le peripezie di una donna che partorisce il piccolo Maceo da sola; viene allontanata dal neonato e messa in manicomio; costretta al matrimonio riparatore senza alcun legame col marito, che va prima in guerra e poi resta a vivere con un'altra donna in Sicilia; rimane vedova ("disperso? Disperso da 'e bombe"); conosce diversi uomini, tra cui "Occhi Lustri" (Carlo delle Piane), sarto agiato ma bruttino che deve il soprannome alla sua sensibilità, Tonino (Michele Placido), avvenente autista del ministero (non conta quale e infatti la sceneggiatura non lo dice), ed Ercoletto (Stefano Satta Fores), già sposato e con un figlio; viene arrestata e carcerata più volte, legata al letto come Ettore in Mamma Roma (Pasolini 1962); vive situazioni tragicomiche che sono l'anima della pellicola. Anche la parte finale, che ci porta ai primi anni '70 contemporanei al film, si oppone a un'idea tradizionale di lieto fine: c'è il sorriso ma anche tanta amarezza.
L'entusiasmo per le "nuove leggi"
Teresa è sempre al centro del racconto e nulla attorno a lei dà speranza di serenità duratura. Gli uomini peggiorano la sua situazione costantemente e anche gli stravolgimenti politici non le garantiscono nulla. La fine della guerra e la caduta del fascimo, per esempio, irrompono mentre lei è rinchiusa: l'arrivo delle bandiere rosse e l'entusiasmo della liberazione, però, non porta alla sua di liberazione, anche se lei si dichiara prigioniera politica ("ho rotto la capoccia de Mussolini a viale Parioli 189"). La storia con la S maiuscola le passa accanto ma non modifica nulla della sua storia particolare.
Tra un dramma e l'altro, però, Teresa - e con lei Monica Vitti - è magnificamente comica. In Teresa la ladra si ride spesso e tanto per le situazioni surreali messe in scena, sulle quali arriva sempre l'ironia tutta romana della protagonista e degli altri personaggi. Quando la corpulenta Gianna la Boccona (Luciana Turina) prova a insegnarle un trucco per i furti sui mezzi pubblici, tenendo una lametta in bocca per tagliare le borse dei malcapitati, i tagli che si provoca fanno esplodere Teresa: "ma tu dentro a quaa bocca ce poi mette pennello, sapone e pure er barbiere".
Ercoletto e Teresa nella faggeta della selva cimina
Anche lei, però, è vittima del sarcasmo romano e in cella, ossessionata dall'amore per Tonino, alla fine scatena la reazione delle compagne che intonano in coro, con il rimbombo del cortile dove passano l'ora d'aria: "vattela a pija' nder culo tu e Tonino". E poi gli incendi sono "dolorosi", Ercoletto da "intruppone" una volta nella natura diventa "come Tarza" (sic).
Un momento fantastico a se stante è quello in cui Teresa legge la lettera del fratello Orlando durante la veglia funebre per loro padre: Monica Vitti legge in maniera incerta ed esilarante, anche grazie alle frasi del fratello che si toglie diversi sassolini dalle scarpe offendendo in maniera colorita gran parte dei presenti (vedi).
I portici romani di piazza Vittorio Emanuele II
Le location rivestono un fascino particolare del film a partire dalla stazione di Campo di Carne, in realtà quella di Caprarola, in provincia di Viterbo. Nelle scene ambientate a Roma vediamo spesso i portici di piazza Vittorio, dov'è il bar/ritrovo degli amici di Sisto, un gruppo di ladri che parlano dei colpi da effettuare mentre giocano a biliardo, bevono e fumano (tra loro c'è anche Fiorenzo Fiorentini, Alvaro "Ciancastorta", noto anche come "L'engimatico" perché appassionato di parole crociate). Curiosamente il bar si chiama Bengasi, ma tutti lo pronunciano Bèngasi...
E così, il primo tentativo di furto per Teresa è in via Parioli 189 dice la sceneggiatura, ma in realtà la villa è l'ambasciata di Nigeria di via Orazio in Prati. Qui, peraltro, la protagonista fa cadere un busto del duce che va in frantumi.
La Fontana del Globo al Foro Italico
Un dettaglio divertente per il suo carattere straniante è poi rappresentato dalla scena del matrimonio tra Teresa e Sisto, che si svolge all'aperto, in un luogo totalmente fuori contesto per una celebrazione del genere, un luogo arcinoto per gli appassionati di calcio di Roma, nota a tutti come la "palla" dietro la curva sud dello stadio Olimpico, in realtà la Fontana del Globo opera di Mario Panìconi e Giulio Pediconi (1933-35; per i disegni del progetto vedi qui). Sacerdote e altare al centro e gli invitati disposti in due ali diagonali e simmetriche creano un insieme perfetto per un matrimonio negli anni del fascismo, tanto più su quella fontana/piazza, con tanto di mosaici a tessere bianco/nere che rimandano ai fasti della Roma imperiale, con un effetto tra il solenne e il ridicolo decisamente riuscito.
La passeggiata con le arcate di Termini sullo sfondo
Anche la festa degli sposi si svolge in una location davvero particolare: il tetto dell'Acquario Romano di Piazza Mariano Fanti, tra Termini e la stessa piazza Vittorio, progettato da Ettore Bernich tra 1885 e 1887. La zona è battuta anche più avanti, quando Teresa passeggia con Tonino sul ballatoio di un palazzo di via Alfredo Cappellini, con le arcate a tutto sesto in travertino del livello superiore della stazione Termini a fare da sfondo.
Il complesso IACP di via di Donna Olimpia
Con Ercoletto poi, quando trova casa al Portuense, la location è quella del grande comprensorio di case popolari via di Donna Olimpia, caratterizzato al suo interno da ponti/ballatoio che collegano le diverse palazzine. E con lo stesso personaggio, Teresa va a vivere l'avventura nella natura, in una tenda montata nella faggeta del Monti Cimini (vedi), la stessa in cui Monicelli girò la sequenza del rapimento di Matelda de L'armata Brancaleone (1966).
Le peregrinazioni di Teresa la portano anche in Sicilia, in Calabria, a Livorno, a Genova, a Milano. 
In Calabria gli americani la lasciano libera davanti al Santuario di Santa Maria a Capo Colonna (Crotone), dove vede allenarsi una squadra di baseball su un prato che oggi ha fatto posto ai ritrovamenti archeologici.
L'Odeon, uno dei cinema livornesi di allora
Nella città toscana la donna si accoppia a Dina (Isa Danieli) di cui diventa complice nel rubare portafogli a uomini adescati e portati al buio delle sale cinematografiche: il primo è l'Odeon, con la facciata semicircolare su Largo dei Valdesi 6, chiuso a inizio anni duemila e trasformato in un parcheggio multipiano; il secondo è il Jolly di via Michon, oggi non più esistente e di cui, come spesso accade, resta malinconicamente la pensilina d'ingresso.
Qui oltre alle location, la cinefilia è stimolata da locandine e immagini sullo schermo, che immortalano pellicole perlopiù di genere sentimentale: delle prime si vedono quella dello strappalacrime Menzogna (Del Colle 1952) e di Margherita Gauthier (Cukor 1936), mentre in sala il furto avviene sempre durante i baci ispiratori di Robert Taylor a Vivien Leigh in quello che probabilmente è Il ponte di Waterloo (LeRoy 1940). E Teresa si lamenta di non riuscire mai a vedere il finale del film... 
Teresa e Dina camminano vicino il duomo di Milano
A Milano, infine, a un passo dal duomo, che vediamo di quinta, la locandina mostra Avventura (Fleming 1945), altra pellicola sentimentale con Clark Gable e Greer Garson protagonisti.
Anche la conoscenza di Dina, prima di tutto questo, avviene in un luogo interessante di Roma: le due partecipano a un disastroso provino di danza che si svolge in un teatro dell'ottocentesco Sanatorio Ramazzini, poi trasformato in sede della Guardia di Finanza di via della Batteria di Porta Furba 34, in zona Tuscolano. 
A proposito di cinefilia, sempre a Roma, con il gruppo di amici dalla fedina penale discutibile, Teresa si innamora a prima vista di Tonino mentre in sala vanno le note di Quizas Quizas Quizas (in realtà in Italia cantata anche da Nilla Pizzi o da Gigliola Cinquetti come Chissà chissà). Per chi vede oggi il film, la memoria va subito inevitabilmente alla versione indimenticabile di Nat King Cole usata per In the mood for love (Kar-Wai 2000), quanto di più lontano da Teresa la ladra.
In questa pellicola poesia e grottesco si incontrano sistematicamente e persino una frase come "la ruota della fortuna ha girato pure per te", rivolta a Teresa da Ercoletto, ormai invischiato in una condizione familiare di supina accettazione dell'infelicità, non suona affatto positiva e, pronunciata da quel pulpito e da quel contesto, fa fuggire Teresa ancora una volta, nell'unico modo che il suo istinto di libertà e di sopravvivenza le consente. Eroina di un altro tempo, eroina attualissima!

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