Che gran film Belfast!
È questo il coro di voci che si sente una volta alzatisi dalla poltrona della sala, dopo aver visto la pellicola di Kenneth Branagh, bellissima, girata splendidamente, con un'ottima fotografia in bianco e nero, che narra la storia in parte autobiografica del regista da bambino, con la sua famiglia, nella capitale dell'Irlanda del Nord, sconquassata dagli scontri religiosi, tra identità, senso d'appartenenza, affetti, ricordi e malinconia (trailer). Le 7 candidature agli Oscar, tra cui film, regia e sceneggiatura, sono meritate.
L'incipit è portentoso: Belfast, agosto 1969, a pochi giorni dall'allunaggio del 20 luglio. Il piccolo Buddy (Jude Hill) viene cercato dalla mdp e da tutto il vicinato nelle strade del quartiere, tra i palazzi in cortina e i tanti bambini che giocano serenamente nel circondario: la cena è pronta e la mamma lo aspetta in casa. La mdp scende a volo d'uccello in strada con un bel piano sequenza. Dopo lo stacco e dopo averci mostrato dettagli di vita quotidiana di una comunità in pacifica convivenza, in cui tutti si conoscono e si aiutano, l'inquadratura va su Buddy e la mdp gli gira attorno più volte.
Mentre torna a casa, il bambino resta impietrito davanti a quello che sta accadendo: un fiume di persone, armate di bastoni, sassi, spranghe, bombe sta entrando nella strada per devastare ogni cosa, per intimare ai cattolici di andar via da lì. Silenzio. Totale. E poi, improvvisamente torna il sonoro rumorosissimo, che ci riporta nel pieno della concitazione della sequenza, finché la madre di Buddy (Caitríona Balfe) arriva a prenderlo per portarlo in casa e poi commenta con un sommesso "oh my God".
Mentre torna a casa, il bambino resta impietrito davanti a quello che sta accadendo: un fiume di persone, armate di bastoni, sassi, spranghe, bombe sta entrando nella strada per devastare ogni cosa, per intimare ai cattolici di andar via da lì. Silenzio. Totale. E poi, improvvisamente torna il sonoro rumorosissimo, che ci riporta nel pieno della concitazione della sequenza, finché la madre di Buddy (Caitríona Balfe) arriva a prenderlo per portarlo in casa e poi commenta con un sommesso "oh my God".
Dieci minuti che basterebbero a rendere Belfast un film da guardare e da far guardare a chi decide di girare pellicole cinematografiche. Branagh ci rapisce con un inizio che incolla alla poltrona e da lì sarà impossibile distrarsi, non staccheremo più gli occhi dallo schermo per seguire le vicende di Buddy e della sua famiglia, di cui fanno parte anche un fratello maggiore (Will; Lewis McAskie), un padre (Jamie Dornan) e i due nonni paterni (Ciarán Hinds e Judi Dench, entrambi candidati agli Oscar).
Il resto del film, però, non perde d'intensità e stare dietro alla mdp è davvero un piacere, poiché il regista irlandese la posiziona sempre con grande attenzione: punti di fuga laterali, inquadrature scorciate e diagonali, surcadrage e split screen naturali con finestre e porte. Oltre a tutto questo, ci sono delle scene degne di dipinti fiamminghi rinascimentali, come quella ambientata nel cortile della casa dei nonni, in cui vediamo in primo piano nonno e nipote che dialogano (il bagno è all'esterno ed è un ulteriore spazio da occupare sulla scena) e nel frattempo, in secondo piano, da una finestra interviene la nonna. E poi i notturni, che la fotografia del cipriota Haris Zambarloukos esalta particolarmente, con le fiaccole delle ronde di quartiere che illuminano il buio mitigato solo dalla luna.
È chiaro, conoscendo la carriera dell'attore e regista irlandese, che Branagh dia un taglio spesso teatrale all'insieme, che ami essere protagonista attraverso il suo sguardo e che, tanto più in una pellicola che racconta la propria città e la propria infanzia, questo aspetto sia dominante, così come va detto che tutto questo perfezionismo formale, dalle strade e dai marciapiedi intonsi alla bellezza degli attori (la coppia dei genitori di Buddy è costituita da due ex supermodelli) cozza un po' con la resa realistica della Belfast dell'epoca... ma chi pensando al passato e all'infanzia non si ritrova ad idealizzarne gli accenti e i dettagli?
L'estetica e l'amore per quell'epoca traspare in maniera così palese nella pellicola, da sopperire pienamente ad ogni possibile critica su questi aspetti.
C'è anche tanta cinefilia nel film, che si ritrova nelle immagini della tv. In uno dei tg iniziali che parlano degli scontri tra protestanti e cattolici sembrano vedersi i capannoni più famosi del cinema, quelli della sigla iniziale della Warner Bros (vedi); e poi i film, da quelli di fantascienza ai western, soprattutto, che Buddy e il fratello guardano in tv. Si riconoscono i volti di John Wayne, Lee Van Cleef e Lee Marvin ne L'uomo che uccise Liberty Valance (Ford 1962), quelli di Gary Cooper e Grace Kelly in Mezzogiorno di fuoco (Zinnemann 1952).
C'è poi il cinema, dove Buddy vorrebbe andare per vedere I 4 di Chicago (Douglas 1964), ma, anche se il bambino non viene accontentato e della gangster-comedy con Frank Sinatra e Dean Martin non vediamo un'immagine, la famiglia va a vedere in sala Un milione di anni fa (Chaffey 1966), in cui la presenza di una seminuda Raquel Welch è occasione per qualche schermaglia tra marito e moglie, e il fantastico Orizzonte perduto di Frank Capra (1937). In sala, così come a teatro, ciò che si vede sullo schermo e sul palco appare magicamente a colori: è l'unico caso in cui Branagh rinuncia al bianco e nero del film, in un contrasto evidente quanto insolito e da intendere romanticamente: il mondo della fantasia era più reale del reale ed era quello in cui da bambino amava immergersi. I colori, peraltro, compaiono riflessi anche negli occhiali della nonna... un dettaglio prezioso. Infine, i genitori di Buddy, quando ballano in strada, si apostrofano come Ginger Rogers e Fred Astaire, ça va sans dire.
Da notare altri elementi socio-culturali del tempo, come il fumetto della Marvel Thor, che vediamo leggere a Buddy, il cui primo numero era uscito sette anni prima, nell'agosto del 1962; oppure, tra i regali di Natale, il Subbuteo, inventato nel 1946 e che negli anni '60 era già un classico, soprattutto nei paesi anglosassoni, con cui i ragazzi iniziano subito a giocare coinvolgendo anche i genitori. Sull'ambientazione, inoltre, ha un ruolo rilevante anche la colonna sonora di Van Morrison, anche lui di Belfast, nella quale, tra le tante, brilla Down to joy, candidata all'Oscar come miglior canzone, mentre Everlasting Love dei Love Affair, cantata da Jamie Dornan, rappresenta uno dei momenti più liberatori della pellicola.
Lo scontro tra protestanti e cattolici è alleggerito dalla pur lucida semplificazione dell'analisi di Buddy, che, avendo un amico cattolico, sì è fatto l'idea che il cattolicesimo sia una religione più facile, in cui basta confessarsi per poter fare tutto ciò che si vuole e che non pretenda nemmeno una costante presenza in chiesa come accade ai protestanti come loro.
La sceneggiatura ha molti passi ironici, la maggior parte dei quali sono affidati al rapporto tra nonno e nipote. Tra questi l'aiuto scorretto per raggiungere un risultato più alto nel compito di matematica è uno dei migliori. L'obiettivo è salire nella classifica di rendimento scolastico e avanzare di qualche posizione nei banchi della classe, laddove riuscirci significherebbe avvicinare Catherine, la ragazzina di cui Buddy è innamorato. Il nonno gli insegna a scrivere dei numeri in modo ambiguo in modo che possano sembrare dei numeri diversi e, alle parole sorprese del nipote, gli spiega che quello non va considerato barare, ma solo una "scommessa diversificata".
La saggezza del nonno contrasta con le difficoltà del padre di Buddy, che, invece, oltre ai problemi col fisco e al pendolarismo tra Inghilterra e Irlanda, si ritrova a tornare a casa ogni quindici giorni in una città in cui gli scontri sono quotidiani. Lecito, quindi, il suo "il mondo è impazzito", subito annullato dal pragmatico commento di un uomo anziano che lo sente e replica: "abituati, dobbiamo viverci".
E, infine, un'amica della mamma di Buddy sentenzia sulla questione emigrazione: tutti stanno lasciando Belfast e anche la famiglia protagonista si troverà a dover affrontare quella decisione (la biografia di Branagh ci fa intuire sin da subito dove penderà alla fine l'ago della bilancia), d'altronde "gli irlandesi sono fatti per emigrare, o nel resto del mondo non ci sarebbero i pub".
E, infine, un'amica della mamma di Buddy sentenzia sulla questione emigrazione: tutti stanno lasciando Belfast e anche la famiglia protagonista si troverà a dover affrontare quella decisione (la biografia di Branagh ci fa intuire sin da subito dove penderà alla fine l'ago della bilancia), d'altronde "gli irlandesi sono fatti per emigrare, o nel resto del mondo non ci sarebbero i pub".
La dedica "a quelli che sono rimasti, a quelli che sono partiti e a quelli che si sono persi, ricorda che cambiare il proprio mondo è sempre difficile, attraversare il mare per un irlandese può esserlo ancora di più...
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