Potrebbe essere questo il sottotitolo del bel film di Stéphane Brizé, quantomai appropriato per la festa dei lavoratori, poiché incentrato sull'autodeterminazione lavorativa e su cosa si è disposti a sacrificare della propria dignità in nome di un impiego.
La storia è quella di Thierry Taugourdeau (Vincent Lindon), un uomo di mezza età che, ritrovatosi senza lavoro, fa di tutto per ottenerne un altro, sottoponendosi a diverse situazioni frustranti e che sembrano condannarlo ad accettare condizioni lavorative che lo metteranno costantemente alla prova. Non tutto, però, può essere tollerato... (trailer)
Brizé segue dall'inizio alla fine della pellicola il personaggio di Thierry, con la mdp che ne indaga i sentimenti e le reazioni in ogni frangente, con inquadrature strette, senza mai abbandonarlo. La focalizzazione sul protagonista è totale, cosicché degli altri personaggi - perlopiù interpretati da attori non professionisti - non conosciamo praticamente nulla, neppure della moglie, dall'estrema dolcezza e che non appare mai intaccata dalla difficile situazione economica, né del figlio, un ragazzo affetto da distrofia muscolare.
Inevitabile il confronto con il recente film dei Dardenne (Due giorni, una notte, 2014), in cui i cineasti belgi mettevano al centro della vicenda un'eroina femminile, interpretata da Marion Cotillard. Se in quel caso, però, la storia proponeva allo spettatore l'idea di una solidarietà lavorativa che, nonostante le difficoltà, poteva essere un raggio di speranza in cui confidare, ne La legge del mercato la prospettiva è più spietata: il mondo del lavoro mette tutti contro tutti senza alcuna possibilità di cooperazione tra coloro che, consapevoli o meno, combattono una costante guerra fra poveri.
Thierry è un gruista che tenta di far valere la propria esperienza professionale all'ufficio di collocamento, che si sottopone a estenuanti colloqui su skype, in cui pur dichiarandosi pronto ad accettare una paga inferiore al precedente impiego e una totale flessibilità nell'orario, si sente dire di avere pochissime possibilità, poiché non giocano a suo favore né l'età, né l'esperienza su macchine ormai considerate obsolete.
I colloqui con la banca non vanno meglio, e le uniche proposte sono quelle di vendere l'appartamento con un mutuo ancora non estinto o di stipulare un'assicurazione sulla vita, ma Thierry non ci sta e alla fine otterrà un impiego nella sicurezza di un supermercato, dove un clima apparentemente sereno e amichevole nasconde in realtà la volontà di aumentare il controllo sui dipendenti. Qui Thierry, infatti,
sarà costretto non solo a vigilare sugli avventori dal furto facile, ma anche sulle eventuali scorrettezze dei colleghi.
Brizé, e con lui il suo protagonista, non giudicano indifferentemente chi viene scoperto in flagrante, e lo spettatore stesso non può considerare di pari livello l'avventore che ruba un caricabatterie di un cellulare - trasformando in pochi attimi la colpa in arroganza - e un anziano signore che non può permettersi di pagare due bistecche. Lo stesso avviene, in maniera anche più dolorosa, per i dipendenti interni, messi sotto la lente d'ingrandimento non proprio per gravi scorrettezze, ma le cui infrazioni vengono usate piuttosto per risolvere i problemi di bilancio dell'azienda, che ha bisogno di effettuare tagli sul personale.
Le sequenze della sala controllo, con le telecamere che scandagliano l'intero supermercato, sono lontane parenti de La finestra sul cortile (Hitchcock 1954) e di Casinò (Scorsese 1995), con un voyeurismo di piccolo cabotaggio, finalizzato a far emergere misfatti di poco conto.
Nessuno può aiutare Thierry e la sua famiglia, cosicché risulta indicativo che persino tentare di vendere la propria mobil home (un bungalow in un campeggio) diventa un'occasione di battaglia in cui il potenziale compratore tenta di approfittare delle difficoltà del protagonista per ottenere un buon prezzo per quello che considera un affare. La legge del mercato è sempre in agguato, ma Thierry non ha nessuna intenzione di soccombere.
Eppure il suo personaggio è continuamente sotto giudizio: e non bastano la consulente bancaria o l'uomo che lo interroga via skype, poiché un suo colloquio di prova viene letteralmente sezionato dai colleghi di un corso di formazione a cui partecipa, analizzandone negativamente la postura, l'aspetto, il tono della voce, il mancato sorriso, la camicia aperta. Tutto è limitato al linguaggio non verbale e all'apparenza.
Vincent Lindon è davvero perfetto, con il suo tono dimesso e apparentemente rassegnato, un signor Travet dei giorni nostri - viene ripreso persino dall'insegnante di danza perché non alza lo sguardo -, che ha pienamente meritato i premi per la migliore interpretazione maschile a Cannes 2015 e ai César 2016.
Un film decisamente riuscito, un film con cui festeggiare il primo maggio. Auguri a tutti!
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